Scuola: dietro la mascherina, c’è rientro?
Per mesi, ci hanno ripetuto che il rientro a scuola sarebbe stato possibile solo nel rispetto di tutte le norme previste al fine di garantire la massima sicurezza ad alunni, insegnanti e personale ATA. Per mesi, ci hanno ribadito che le aule erano state svuotate, a marzo, per tornare a riempirsi a settembre, quando – finalmente – avremmo avuto strutture e strumenti capaci di affrontare il nemico numero uno del 2020. E, invece, ora che la data fatidica si avvicina, i tentativi di cambiare le carte in tavola si stanno moltiplicando e con essi pure gli sciacalli.
Per gli addetti ai lavori, così come per gli osservatori meno pedissequi ma più attenti, non era imprevedibile l’alternarsi di notizie false e autentiche che, nelle ultime ore, sta contrassegnando stampa e social del Bel Paese. Tra virus di importazione, mamme disperate e catene su Facebook, la disinformazione in merito al prossimo anno non fa presagire alcunché di buono ma questo, oltre che responsabilità delle avide opposizioni, è anche colpa di un Ministero dell’Istruzione la cui linea è parsa confusa sin dalle prime battute, lasciando l’amara – ma non rara – sensazione di essere nelle mani sbagliate.
Certo, il COVID, la conseguente emergenza socio-sanitaria e le gravi querelle tra esperti non erano preventivabili, tuttavia una politica che non sia a tempo ma che punti seriamente alla crescita del Paese, non può e non deve non avere tutti gli strumenti per affrontare le avversità. In Italia, invece, la scadenza elettorale e il sondaggio facile, l’instabilità governativa e l’occhio costantemente strizzato ai privati hanno significato, negli anni, tagli su tagli, sacrifici sempre e soltanto a danno delle classi operaie, delle famiglie più disagiate, di quegli ultimi che vedono, tra le proprie fila, persino la scuola, eternamente vittima di rimaneggiamenti e dimenticanze, complice l’occasione mai evitata di offrire ad avvoltoi mediatici e politici di sfruttare la propria inadeguatezza.
In quest’ottica, quindi, che a poco meno di un mese dal rientro in aula non si sappia quasi nulla sulla didattica che sarà non fa così scalpore, ma rabbia sì. E fa rabbia perché, come fossero al fronte, ragazzi e docenti saranno lasciati alla mercé di una situazione che si fatica a immaginare sotto controllo, ancora una volta sacrificati sull’altare di un sistema Paese che non li tutela come ama annunciare.
Dopo settimane di dibattito sui banchi monoposto e sulla possibile messa a disposizione di strutture che non siano istituti scolastici ma spazi generalmente adibiti ad altro, ecco che torna protagonista, nelle discussioni tra genitori come in quelle tra CTS e MIUR, la fatidica mascherina, a quanto pare imprescindibile per la sicurezza delle lezioni che verranno. Stando alle prime disposizioni, infatti, oltre al distanziamento fisico, sembra inevitabile l’uso del dispositivo di protezione per gli studenti al di sopra dei 6 anni. A tal proposito, ogni settimana – assicura il Commissario straordinario per l’emergenza COVID, Domenico Arcuri – verranno distribuiti 11 milioni di mascherine e 170mila litri di gel igienizzante.
Dal 24 agosto, invece, partirà lo screening a cui, su base volontaria, il personale scolastico potrà sottoporsi prima dell’inizio del nuovo anno. In questo modo, si ovvierà ai tre requisiti di base: protezione individuale, igienizzazione e controllo. Un’operazione molto onerosa che pochi Paesi hanno attuato. Al momento, però, denuncia la Federazione italiana medici di famiglia (Fimmg), se non arriveranno i kit necessari ai dottori, non si potrà iniziare a fare alcun test. Per quanto riguarda i banchi, invece, bisognerà attendere il 7/8 settembre per l’avvio della distribuzione che sarà ultimata entro ottobre, ben oltre il rientro in aula.
Anche su questo, Arcuri ha riassunto in pochi punti i criteri cui si atterranno per l’assegnazione:
- indice Rt e curva del contagio nella regione
- assegnazione in via prioritaria alla scuola primaria
- data di apertura delle scuole
- rapporto tra dotazione e spazi incrementali esterni
Il rischio, dunque, è che al Sud o nelle tante aree del Paese estremamente disastrate ma, in termini di COVID, al momento ancora piuttosto sicure, le postazioni possano arrivare tardi, quando la situazione potrebbe già essere degenerata. Gli esperti del CTS, comunque, continueranno a incontrarsi per sorvegliare l’andamento epidemico di qui al tanto atteso lunedì 14, ma il timore è che molti nodi possano sciogliersi soltanto a ridosso di quella data e per singola regione. A tal proposito, in una recente nota congiunta, i sindacati hanno ribadito la necessità di attivare tutti i tavoli di monitoraggio a ogni livello. Non è pensabile, infatti, una gestione solo centralistica per situazioni che si presenteranno in modo molto differenziato da territorio a territorio: al livello centrale spetta definire indicazioni chiare e soprattutto assicurare la necessaria dotazione di risorse al sistema, ma vanno resi pienamente operativi da subito tutti i livelli territoriali. I banchi – aggiungono – non sono l’unico problema da affrontare, forse nemmeno il più importante. Le scuole devono essere messe da subito nella condizione di ripartire in sicurezza e – aggiungiamo noi – di non fermarsi alla prima criticità.
Intanto, il 31 agosto un incontro virtuale vedrà riuniti i 53 Stati membri e la sezione Europa dell’OMS che discuteranno delle azioni concrete per garantire un’adeguata istruzione e ambienti sicuri. Tuttavia, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha già fatto sapere che l’apertura delle scuole deve avvenire solo se i dati relativi al virus sono bassi, adeguando gli orari scolastici e limitando il numero di alunni dove i casi sono più diffusi. Inoltre, bisogna prendere in considerazione la possibilità di tenere gli istituti momentaneamente chiusi nelle aree in cui la trasmissione nella comunità è elevata. Una nota che non può non allarmare anche l’Italia, dove la curva epidemiologica è in salita e l’età di contagio si sta abbassando. Come se non bastasse, in un Paese il cui apparato scolastico è già vecchio nelle strutture come nel personale, già fascia a rischio.
La preoccupazione, per genitori e dipendenti, è alle stelle. Quanto ancora dovranno attendere per conoscere il proprio futuro prossimo? Quanta fiducia si può ancora accordare a istituzioni sorde alle domande di chi, giustamente, cerca risposte nel timore di subire e diventare a sua volta pericolo? Basterà l’ottimismo di chi assicura il regolare rientro in aula a placare paure e disinformazione? È tempo, forse, di invertire la rotta: prima fare e poi annunciare. Altrimenti, una volta avviate, la macchina dello sciacallaggio, dello scetticismo e dell’inadeguatezza non si potranno più fermare. Se non con un miracolo. Esattamente quello che serve oggi alla scuola.
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