Dimensionamento scolastico: è scontro tra Regioni e Governo
Nel silenzio generale di molti media, si accende lo scontro tra le Regioni guidate dal centrosinistra e il Governo di centrodestra. Una battaglia politica ma, soprattutto, una battaglia di diritti. Al centro della discussione vi è un tema che riguarderà prevalentemente il Mezzogiorno di Italia, già ampiamente mortificato da scelte dannose e discriminatorie che ne hanno fatto una vera e propria questione meridionale. Parliamo, nello specifico, del progetto di autonomia differenziata che ben si sposa con la Legge di Bilancio approvata lo scorso dicembre e quel dimensionamento scolastico che ancora poco rumore sta facendo nell’opinione pubblica.
Come raccontavamo, dall’anno scolastico 2024/2025, molti istituti d’Italia vedranno drasticamente ridurre il proprio numero di istituti scolastici (quelli con meno di 900 alunni) e, dunque, l’offerta formativa. La norma attualmente in vigore prevede che le scuole possono restare aperte con meno di 600 alunni solo in due casi: nelle piccole isole e in località di montagna. La Manovra di Bilancio, invece, consente, attraverso una modifica dell’articolo 19 del decreto legge 98/11, che si possa realizzare la riorganizzazione del sistema scolastico prevista nel PNRR con uno specifico decreto del Ministero dell’Istruzione e del Merito, di concerto con il MEF, previo accordo in sede di Conferenza unificata, con il quale entro il 30 giugno di ciascun anno viene definito l’organico dei dirigenti scolastici e dei DSGA.
Più concretamente, a soffrire il dimensionamento saranno in prevalenza le province di Campania, Calabria, Puglia, Basilicata, Molise, Abruzzo, Sicilia e Sardegna, con la terra un tempo Felix prima nella lista delle regioni per accorpamenti di istituto. Il Meridione potrebbe proporre, dunque, una terza eccezione da applicare a zone con particolari disagi di carattere socio-economico al fine di scongiurare un ulteriore abbandono di terre ormai depredate di vita e opportunità, ma anche già vittime di dispersione scolastica implicita ed esplicita.
Per la Campania parliamo, ad esempio, di circa 170 fusioni, il che significa un taglio del personale ATA stimabile in almeno 500/600 unità e la cancellazione di 300 e più dirigenti. Gli accorpamenti che le scuole subiranno dall’anno scolastico 2024/2025 verranno decisi entro il 30 novembre dell’anno in corso. Il vecchio preside, dunque, diventerà unico per i due istituti ormai fusi, raddoppiando la propria mole di lavoro, così come la metà saranno i membri del personale ATA, anch’essi vittime di un aumento sproporzionato delle mansioni da svolgere.
È per limitare questi danni che, prima tra tutte, proprio la Campania ha fatto ricorso davanti alla Corte Costituzionale su iniziativa del Presidente Vincenzo De Luca: «Non accetteremo il taglio di 170 istituti scolastici, faremo una battaglia e cercheremo di mobilitare anche le altre regioni del Sud per avere un ampliamento degli organici nella scuola pubblica, per avere un aumento e una stabilizzazione degli insegnanti di sostegno, per avere un piano vero e concreto di edilizia scolastica. Abbiamo ancora scuole dove non ci sono i riscaldamenti, altro che tagli» ha dichiarato lo sceriffo a cui hanno fatto seguito anche altri colleghi.
Il 16 febbraio, infatti, anche la Regione Puglia – dove gli accorpamenti dovrebbero essere una sessantina circa – ha deciso di impugnare la norma sul dimensionamento scolastico chiedendo alla Consulta che sia dichiarata incostituzionale, così come la Regione Toscana, dove si dovrebbe andare incontro a un taglio di circa 40 unità per ciò che concerne le figure al vertice. E, sebbene sia stato tra i sostenitori dell’autonomia, oggi anche Stefano Bonacci (candidato alla segreteria del PD e Presidente dell’Emilia-Romagna) dichiara che la sua regione farà sentire la propria voce per fermare questa incredibile scelta governativa: «Il governo taglia sulle scuole, rischiamo le classi pollaio. Non l’ho mai fatto in otto anni ma impugno il provvedimento davanti alla Corte costituzionale».
A chiedere una posizione simile è, inoltre, il Lazio dove, tuttavia, sembra più difficile immaginare che il neo Presidente di Regione Francesco Rocca, esponente del centrodestra che siede anche a Palazzo Chigi, possa schierarsi contro i suoi stessi sostenitori. Al momento, infatti, a presentare mozioni ufficiali sono stati soltanto esponenti delle opposizioni a sottolineare quanto anche il tema dell’istruzione sia una questione innanzitutto politica e poi di conti da far quadrare, diritti allo studio e al lavoro, qualità della vita e così via.
Le critiche piovono tutte dal PD – «Le prime scelte del governo in materia di istruzione sono gravi e prefigurano un vero e proprio attacco alla scuola pubblica. In particolare, la norma sul dimensionamento scolastico determinerà, di fatto, la riduzione, non solo delle sedi, che verranno inevitabilmente accorpate, ma anche del contingente dei dirigenti scolastici e dei direttori dei servizi generali e amministrativi, che saranno quasi dimezzati rispetto a oggi» – e, chiaramente, dai sindacati: «Si scrive dimensionamento scolastico ma si chiamano tagli». Ed è questo, in effetti, che concretamente sono.
Sin dalla comparsa della norma, il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha rimandato ai mittenti le accuse, precisando che la scelta del dicastero e del Governo «vanno nella doppia direzione di mitigare gli effetti delle normative precedenti e osservare i vincoli dell’UE in attuazione del PNRR» perché, dice, «non si può essere europeisti a corrente alternata» lanciando una provocazione ai suoi colleghi. Ma può l’Europa essere, sempre, la scusa di ogni manovra a danno dei cittadini? O, come sappiamo, la mossa in Legge di Bilancio è il perseguimento dell’autonomia differenziata che, una volta attuata, andrà concretamente a segnare un prima e un dopo tra il Nord e il Sud del Paese, tra la scuola – già inefficiente – di adesso e quella che verrà domani a vantaggio non solo del Settentrione ma, anche, della formazione privata da sempre avallata da questa classe dirigente?
Nel Mezzogiorno – raccontano i dati – mancano infrastrutture e tempo pieno, così un bambino del Sud frequenta la scuola primaria per una media annua di 200 ore in meno rispetto a un suo coetaneo del Centro-Nord. Ore che coincidono di fatto con un anno di scuola perso. Nel Mezzogiorno la dispersione scolastica è più alta che nel resto del Paese e non va migliorando. Nel Mezzogiorno un ragazzo è altamente probabile che prenda il primo volo e vada a vivere dove una vita è possibile. Qual è, dunque, la soluzione prospettata? Perché, nell’eventualità, non è con l’Europa che si fa la voce grossa anziché con i più fragili? E perché – se non per mero opportunismo politico – non tutte le Regioni sono compatte nell’impedire che il dimensionamento diventi realtà? Dovremmo, prima che sia troppo tardi, alzare la voce. Da Nord a Sud.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.