Abilitazione in Romania e Bulgaria: il sì del Consiglio di Stato
Il 28 e 29 dicembre sono state depositate le tanto attese pronunce del Consiglio di Stato in Adunanza plenaria in merito al riconoscimento, in Italia, dei titoli di abilitazione e specializzazione conseguiti all’estero, nello specifico in Bulgaria e Romania.
I giudici hanno stabilito che toccherà al Ministero dell’Istruzione verificare che gli interessati abbiano effettivamente acquisito le competenze necessarie a svolgere compiti di insegnamento nel nostro Paese.
Sebbene, infatti, la direttiva 2005/36/CE stabilisse – in Italia con l’attuazione del decreto legislativo 206/2007 – un sistema di riconoscimento delle qualifiche professionali conseguite in ogni Stato membro dell’Unione Europea, al fine di consentire ai cittadini comunitari di accedere ai diversi mercati del lavoro per professionisti e facilitare la fornitura di servizi transfrontalieri, agevolando ulteriormente le procedure amministrative, il Ministero dell’Istruzione negava l’idoneità all’insegnamento delle qualifiche conseguite in Bulgaria quali corso di formazione post-universitario in scienze pedagogiche, indirizzo professionale di pedagogia dell’insegnamento, e i titoli formativi conseguiti in Romania, denominati Programului de studi psichopedagogice, Nivel I e Nivel II, successivi alla laurea ottenuta in Italia.
Nel primo caso, il MI aveva sempre respinto le domande di riconoscimento poiché non era stato dimostrato l’esercizio della professione di almeno un anno. Nel secondo, invece, in quanto il titolo non avrebbe consentito l’insegnamento nemmeno in Romania.
La VII sezione del Consiglio di Stato aveva chiesto, così, all’Adunanza plenaria di esprimersi, stabilendo che il Ministero potesse non riconoscere il percorso di formazione sulla base del livello di competenza ricavabile ma soltanto previa verifica della durata complessiva, del livello e della qualità della formazione ivi ricevuta, prevedendo anche la possibilità di imporre a tal fine misure compensative. Il Consiglio di Stato aveva chiesto anche di chiarire se il riconoscimento fosse doveroso (o solo possibile), anche in mancanza dell’attestato di competenza o del titolo di formazione necessari per l’esercizio di una professione regolamentata nello Stato di origine o, in sua mancanza, di un anno di esperienza professionale.
Sciogliere i dubbi sulla questione bulgara, per l’Adunanza plenaria, è stato semplice. Dando risposta positiva al riconoscimento, i giudici hanno così stabilito: il Ministero dovrà esaminare l’insieme dei diplomi, dei certificati e altri titoli di ogni candidato (non a prescindere dalle attestazioni rilasciate dall’autorità competente dello Stato d’origine), confrontare da un lato le competenze attestate da tali titoli e da tale esperienza e, dall’altro, le conoscenze e le qualifiche richieste dalla legislazione nazionale, al fine di assicurarsi che gli interessati abbiano o meno i requisiti per accedere alla professione regolamentata di insegnante, eventualmente previa imposizione di misure compensative.
Diversa è, invece, la questione rumena. Secondo l’Adunanza plenaria, infatti, al contrario di quanto sostenuto da Viale Trastevere, in Romania una laurea conseguita in Italia, e ivi riconosciuta equivalente, è un titolo che consente la frequenza dei percorsi di formazione degli insegnanti e il conseguimento dei relativi titoli. Una volta conseguito il Nivel I e Nivel II e il certificato Adeverinta, vi è la possibilità di insegnare. Non ci sono motivi, dunque, per non riconoscere il titolo.
I giudici hanno comunque stabilito che spetta al Ministero competente verificare se, e in quale misura, si debba ritenere che le conoscenze attestate dal diploma rilasciato da altro Stato o la qualifica attestata da questo, nonché l’esperienza ottenuta nello Stato membro in cui il candidato chiede di essere iscritto, soddisfino, anche parzialmente, le condizioni per accedere all’insegnamento in Italia, salva l’adozione di opportune e proporzionate misure compensative ai sensi dell’art. 14 della Direttiva 2005/36/CE. In buona sostanza, la sentenza del Consiglio di Stato ha respinto le tesi del Ministero dell’Istruzione.
L’Adunanza plenaria si è espressa, poi, anche a proposito degli insegnanti di sostegno: si deve qui rilevare come la giurisprudenza di questo Consiglio abbia già osservato, in modo del tutto condivisibile, come un analogo provvedimento di rigetto dell’istanza adottato dal Ministero sia illegittimo per difetto di motivazione in quanto si limita esclusivamente a richiamare, in astratto, le differenze che esisterebbero tra Romania e Italia nel quomodo dell’erogazione del servizio pubblico dell’insegnamento di sostegno.
In Italia, difatti, l’insegnante di sostegno è un docente di classe a tutti gli effetti, previsto dalla l. n. 517 del 1977, che viene assegnato, in piena contitolarità con gli altri docenti, alla classe in cui è inserito il soggetto cui è destinata la sua attività per attuare forme di integrazione a favore degli alunni portatori di handicap e realizzare interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni. Per l’insegnante di sostegno è quindi necessaria una specializzazione specifica, nel senso di una professionalità ulteriore, tenuto conto delle esigenze speciali degli studenti e del loro diritto allo studio.
Sono tanti i docenti che hanno conseguito in Romania il titolo di abilitazione all’insegnamento o di specializzazione su sostegno in attesa del riconoscimento da parte del Ministero dell’Istruzione italiano o del Giudice amministrativo. Pertanto, non è difficile immaginare che, dopo queste pronunce, il lavoro in Viale Trastevere sarà tanto e concentrato sulla risoluzione delle controversie. Forse, l’occasione per riempire gli atavici vuoti.
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