Minuziosità e frustrazione: nuovo concorso, stessa storia
Sono iniziate lunedì 14 marzo le prove del concorso di scuola ordinaria di primo e secondo grado. Dopo tanta attesa, finalmente gli aspiranti possono – fino al prossimo 13 aprile – concorrere per vedere la propria posizione in aula definirsi, progettando un futuro più accessibile rispetto alla precarietà attuale. Eppure, nonostante non sia trascorsa nemmeno una settimana dall’avvio dei test, basta un rapido sondaggio tra chi ha già sostenuto le prove per capire che più di qualcosa non sta funzionando.
Sui gruppi social dedicati ai concorsi, sono moltissime le lamentele degli aspiranti che si sono già presentati in sede di esame. Il sentire è piuttosto unanime e inequivocabile, un’insoddisfazione dovuta – stando alle testimonianze – alle tante difficoltà riscontrate una volta affrontati i quiz. Ma andiamo con ordine.
Il concorso – lo abbiamo già denunciato spesso – è stato annunciato con un preavviso quasi nullo (in alcuni casi, poco più di due settimane) che si è dimostrato il primo scoglio da superare per quei tanti che hanno dovuto spostarsi per affrontare i test e, più in generale, per tutti i concorrenti costretti a prepararsi in tempi strettissimi. Sarà forse per questo che si registra un alto tasso di assenteismo che, sebbene non ufficiale, facilita già la ricostruzione di un quadro in definizione affatto rincuorante. C’è, poi, un altro aspetto – per niente secondario – di cui ci si sta lamentando un po’ ovunque: la specificità delle domande. La sensazione, da molti provata, è che – al netto dell’importanza di una conoscenza più che dettagliata delle materie di esame e, quindi, di successivo insegnamento – la richiesta sia esagerata, al limite dell’enciclopedico.
Come sappiamo, la prova è computer based, distinta per classe di concorso e tipologia di posto, per un totale di 50 quesiti ripartiti tra domande volte all’accertamento delle competenze e delle conoscenze sulle discipline afferenti alla classe di concorso (per i posti comuni), domande inerenti alle metodologie didattiche da applicarsi alle diverse tipologie di disabilità (posti di sostegno) e domande sulla conoscenza della lingua inglese di livello B2 e sulle competenze digitali relative all’uso didattico delle tecnologie e dei dispositivi elettronici multimediali (posti comuni e di sostegno). Per ogni quesito sono previste 4 risposte, di cui soltanto una è esatta.
La prova, in totale, si svolge in 100 minuti, fermi restando gli eventuali tempi aggiuntivi di cui all’art. 20 della legge 5 febbraio 1992, n. 104. Per essere considerata conseguita è importante ottenere un punteggio minimo pari a 70/100 (ogni risposta esatta vale 2 punti). In questo modo, si accede automaticamente alla prova orale, le cui tracce sono predisposte dalle commissioni giudicanti. Anche il colloquio, per dirsi superato, ha un punteggio minimo equivalente a 70 punti. Fino a 100, invece, ne vengono assegnati per la prova pratica, se prevista.
Forse, è proprio a causa di queste modalità che i candidati lamentano le difficoltà di cui sopra. Se il tempo a disposizione risulta esaustivo, infatti, i test a risposta multipla impediscono una più efficace esposizione delle nozioni acquisite che non possono – per ovvi motivi – esaurirsi in una crocetta barrata. L’insegnamento, d’altro canto, è molto più della mera teoria, comprendendo aspetti pedagogici, attitudinali ed emotivi molteplici che non vanno esulati in sede di esame. A tal proposito, forse sarebbe maggiormente consona la possibilità di risposta aperta – al netto di tracce chiare e altrettanto precise – che consentirebbe ai candidati di presentarsi in modo decisamente più completo e di “giocare” meno con la fortuna che, a volte, può trarre in inganno dinanzi ai distrattori che non possono essere fattore abilitante.
C’è da segnalare, inoltre, la presenza di programmi di concorso lontani dai reali programmi scolastici e la scarsa attinenza dei quesiti di informatica su applicazioni che non verranno utilizzate a scuola o sulla specificità di alcuni cavetti che è comprensibile che non tutti conoscano. Più facili del previsto, invece, le domande in lingua inglese. L’impressione, insomma, è che, sebbene molti quesiti siano pertinenti ma decisamente minuziosi, la prova in generale non sia pensata per mettere in luce le competenze e risolvere i problemi che, ancora oggi, la scuola riscontra.
Certo, non esiste concorso che metta tutti d’accordo, ma non è la prima volta, negli ultimi anni, che ci si ritrova ad affrontare simili titubanze e lamentele e sicuramente non sarà l’ultima. L’amarezza, infatti, è la stessa che a luglio aveva accompagnato il concorso STEM e, di questo passo, è destinata a confermarsi già nei prossimi giorni.
L’assenteismo e, soprattutto, l’elevato fallimento dei candidati dovrebbero invitare a una riflessione più attenta e meno narcisistica, che metta in discussione l’intero assetto ministeriale. Cosa si richiede ai futuri insegnanti? Puro nozionismo o qualcosa di più di tanto studio (e a volte fortuna)? Qual è il confine, per nulla labile, tra capacità mnemonica e capacità di insegnamento?
Mette molta tristezza leggere di aspiranti che si sono sentiti umiliati, come privati della loro dignità per non aver superato una prova. Non si tratta, infatti, di sensibilità particolari, ma di una sensazione diffusa di non essere adatti o di non essere abbastanza. Questa volta è toccato ai concorrenti in storia e filosofia, materie che più di altre dovrebbero stimolare il pensiero e aprire al dibattito. Dibattito che, però, nella scuola di oggi non si pensa nemmeno di affrontare, tanto macchina è diventata con ingranaggi da inserire/sostituire qua e là.
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