Scuola: si torna in aula, ma con quale garanzia?
Si riparte. Tra venerdì 7 e lunedì 10 gennaio, studenti e docenti di tutta Italia torneranno tra i banchi. Non sono bastate le polemiche e i dubbi espressi da più parti nel corso di questa impennata di contagi natalizia: il governo guidato da Mario Draghi, riunitosi in Consiglio dei Ministri nel tardo pomeriggio di mercoledì, ha deciso la regolare ripresa delle lezioni. Non senza novità.
A rientrare in aula dovrebbero essere circa 8 milioni di alunni. Dovrebbero perché, stando a un calcolo de la Repubblica, in media si ha un positivo per ogni classe (il 4.3% degli infetti è studente). Il quotidiano ha incrociato i dati del Ministero della Salute con quelli dell’Istituto Superiore di Sanità: in questo modo, su un totale di un milione e 406mila positivi, 285mila sono gli alunni dai 6 anni in su. I docenti e gli operatori, invece, sono oltre 20mila, una cifra che non distingue tra insegnanti e personale ATA ma che lascia comunque presupporre qualche criticità nel regolare ripristino della didattica in presenza.
Al termine del CdM, il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi si è detto molto soddisfatto: «Abbiamo dato regole chiare per un rientro in presenza e in sicurezza. La decisione presa dal governo tiene conto, da un lato, dei dati sanitari e dell’evoluzione della pandemia, dall’altro, rappresenta una scelta chiara che tutela la possibilità per studentesse e studenti, tenendo conto del diverso grado di vaccinazione raggiunto e del diverso grado di scuola, di continuare a frequentare in presenza, a garanzia di un’uguaglianza sostanziale di accesso al servizio scolastico». Nell’ambito della stessa seduta, infatti, sono state fissate nuove regole per gli istituti scolastici e le relative quarantene.
Scuola dell’infanzia e servizi educativi per l’infanzia: con un caso di positività si applica al gruppo classe/alla sezione la sospensione delle attività, per una durata di dieci giorni. Sono previste mascherine FFP2 per tutto il personale che è a contatto con i bambini più piccoli: da lunedì le distribuirà alle strutture scolastiche direttamente il servizio del commissario Figliuolo.
Scuola primaria: con un caso di positività si attiva la sorveglianza con testing del gruppo classe. L’attività prosegue in presenza effettuando un test antigenico rapido o molecolare appena si viene a conoscenza del caso di positività. Il test sarà ripetuto dopo cinque giorni. In presenza di due o più positivi è prevista, per tutta la classe, la didattica a distanza per la durata di dieci giorni.
Scuola secondaria di I e II grado: con un caso di positività nella stessa classe è prevista l’autosorveglianza con la prosecuzione delle attività e l’uso delle mascherine FFP2. Con due casi nella stessa classe è prevista la didattica digitale integrata per coloro che non hanno avuto la dose di richiamo e hanno completato il ciclo vaccinale da più di 120 giorni e per coloro che sono guariti da più di 120 giorni. Per tutti gli altri è prevista la prosecuzione delle attività in presenza con l’autosorveglianza e l’utilizzo di mascherine FFP2. Con tre casi nella stessa classe è prevista la didattica a distanza per dieci giorni per tutta la classe.
Al fine di rispettare tali dettami, il Ministero ha ribadito il potenziamento delle attività di screening, favorito dallo stanziamento di oltre 92 milioni di euro per consentire, ai ragazzi, l’effettuazione dei test gratuitamente in farmacia e nelle strutture convenzionate, con la sola ricetta del medico di base o del pediatra.
Non è piaciuta molto, tuttavia, la scelta relativa alla scuola secondaria che prevede misure diverse tra vaccinati e non, che ha scatenato diverse reazioni politiche e sindacali. Tale distinzione, infatti, viene vista da molti come discriminatoria e contraria al principio primario della scuola: l’inclusione. Soprattutto dinanzi a un mancato obbligo vaccinale mai imposto e a scelte che, nella maggior parte dei casi, sono da addebitare ai genitori di ragazzi che rischiano così di vedersi in qualche modo discriminati. Si complica, inoltre, l’attività didattica con i docenti costretti a gestire diversi gruppi, tra alunni in presenza e altri a distanza. Persistono, infine, le tante perplessità legate alla privacy per la quale si attende una nota esplicativa già nei prossimi giorni.
Le nuove regole seguono, in parte, alcune delle indicazioni avanzate nei giorni scorsi dalle Regioni, divise su diversi fronti con i Presidenti De Luca e Zaia che, più di altri, stanno spingendo da tempo per un rinvio delle lezioni di almeno due o tre settimane. In particolare, a portare avanti la battaglia, è il Governatore campano che, con insistenza, sta chiedendo venti/trenta giorni di respiro (proprio in queste ore, avallato anche da migliaia di presidi in tutta Italia) che consentirebbero il rallentamento del picco di contagio – che a gennaio avrà certamente un’ulteriore spinta – e di sviluppare una più vasta campagna di vaccinazione per la popolazione studentesca. Una misura che non definisce ideale ma necessaria. Come molti suoi colleghi, però, anche De Luca non apprezza la distinzione tra vaccinati e non tra i banchi di scuola.
Al momento, in Italia, sono poco più di 400mila i bambini tra i 5 e gli 11 anni che hanno ricevuto la prima dose di vaccino anti-Covid. Ed è tra loro che il contagio sta correndo rapido, mandando in affanno molte strutture ospedaliere a essi dedicate. Ciononostante, per l’esecutivo la priorità rimane la didattica in presenza, una scelta che ai malpensanti pare più politica che a tutela dei diritti implicati. Sappiamo bene, infatti, che tutto ciò che ruota intorno alla scuola – dallo stato degli istituti ospitanti le lezioni al trasporto pubblico, per citare due punti fondamentali – ben poco o nulla è stato fatto. Su queste pagine, in particolare, lo abbiamo ribadito spesso e non ci stancheremo di farlo finché chi di dovere non interverrà concretamente sulle lacune che tuttora condizionano la regolare vita scolastica.
Quale garanzia rappresentano le nuove regole sulla quarantena? Che tutela rappresentano per gli studenti? E per i docenti? Se un’altra ondata di chiusure scolastiche diffuse sarebbe disastrosa per i bambini – come dichiarato nelle scorse settimane dall’UNICEF – l’ultimo decreto non risponde alle troppe domande ancora in sospeso. Sembra, piuttosto, fare eco all’atteggiamento che si sta adottando più in generale nel Paese: contagiatevi tutti. Ma può questa definirsi una soluzione? È l’immunità di gregge che stiamo perseguendo? E a che prezzo?
«La chiusura delle scuole a livello nazionale dovrebbe essere evitata quando possibile. Quando la trasmissione della comunità Covid-19 aumenta e le misure rigorose di salute pubblica diventano una necessità, le scuole devono essere gli ultimi luoghi a chiudere e i primi a riaprire», ha proseguito l’UNICEF. E noi non potremmo essere più d’accordo. Eppure, non possiamo sentirci sicuri quando le misure prese suonano blande o inefficaci. Quando i dati parlano di Italia come ultimo Paese in Europa per la spesa nel settore istruzione e seconda per abbandono universitario.
Riaprire oggi, senza obbligo vaccinale, senza reali ed esaustivi investimenti, senza che nulla – o troppo poco – sia cambiato rispetto a ieri, suona soltanto politichese, propaganda fine a se stessa. D’altro canto, è il governo dei migliori, no?
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