Ipotesi green pass per gli studenti: è polemica
Se dici scuola, in Italia, dici polemica. E, così, in queste ore un’altra discussione sta tenendo acceso il dibattito. Stavolta, ad alimentare una fiamma già viva, è la lettera che alcuni Sindaci hanno indirizzato al Premier Draghi e ai Ministri della Salute e della Scuola Roberto Speranza e Patrizio Bianchi per sollecitare l’introduzione del green pass per gli studenti.
I bambini e i ragazzi vaccinati non possono ritrovarsi in didattica a distanza a causa dei loro compagni non vaccinati. Bisogna introdurre il green pass anche per gli alunni delle elementari, per gli studenti delle medie e delle superiori. Chiediamo al governo e a Draghi di fare subito un provvedimento per adottarlo nelle scuole.
L’appello – con primo firmatario Mario Ricci, Sindaco di Pesaro, presidente dell’Associazione per le autonomie (Ali) – è sottoscritto da decine di Primi Cittadini, da Milano a Lecce, da Torino a Napoli. E ha già scatenato violente reazioni. Dalla sua, il titolare di Viale Trastevere non ha rigettato prontamente la proposta, ma ha rassicurato i firmatari, annunciando che la esaminerà con i suoi colleghi. Il che apre uno spiraglio che, come dicevamo, sta già facendo discutere.
Si tratta di adottare le stesse regole dei lavoratori, prosegue l’appello di Ricci. Oggi per andare a lavorare occorre avere il green pass, quindi essere vaccinati o fare il tampone ogni due giorni. Il vaccino è stato approvato anche per i bimbi dai 5 anni in su, le vaccinazioni sono iniziate giovedì scorso. Per rendere la scuola in presenza sicura dal punto di vista sanitario, tenuto conto che gli insegnanti hanno l’obbligo di vaccino, bisogna rivolgersi ai ragazzi. Il green pass ci aiuterebbe nella campagna di vaccinazione per i bambini. Eviterebbe appunto il paradosso che le famiglie che hanno fatto vaccinare i loro figli, si ritrovino lo stesso con i ragazzi in dad.
Se, dunque, inizialmente sembrava che per gli studenti non ci fosse alcun obbligo di certificazione verde, qualcosa rischia adesso di cambiare, magari proprio nel corso della pausa natalizia, quando nuove regole e restrizioni potrebbero essere applicate all’intera popolazione.
Intanto, il Ministro Speranza – intervenuto su Rai 3 in occasione di Che tempo che fa – ha frenato l’ipotesi avanzata dai Sindaci lasciando intendere che si tratti di una soluzione di difficile applicazione. In effetti, così come lo era stato per il personale scolastico, l’imposizione del green pass per gli studenti si camufferebbe, nei fatti, in obbligo vaccinale. A tal proposito, il titolare del dicastero ha detto: «Sull’obbligo vaccinale agli studenti il governo è stato più prudente perché c’è un diritto essenziale, che è quello all’istruzione». Lo stesso a cui si appellano i tanti no, giunti in risposta alla proposta dei Primi Cittadini, da parte di esponenti della maggioranza, dell’opposizione e persino dei presidi.
I dirigenti scolastici, infatti, si stanno dicendo molto perplessi, titubanti sull’adozione di una misura che implicherebbe, anche per i più piccoli, un tampone ogni 48 ore o la somministrazione del siero vaccinale. Quest’ultimo, in particolare, da è ormai disponibile anche per la fascia di età 5-11 anni per un totale di 28909 dosi somministrate in circa un paio di giorni, come reso noto dai dati ministeriali. I bambini che hanno contratto il virus e sono guariti, invece, sono 104135.
«Comprendiamo la preoccupazione di chi si trova a dover fronteggiare la quarta ondata che sta investendo in modo particolare la fascia più giovane della popolazione. D’altra parte la scuola necessita di una estrema e doverosa gradualità nell’introduzione di misure che potrebbero comportare una compressione del diritto all’istruzione, pur se determinate da ragione di salute collettiva», ha dichiarato il presidente dell’Associazione Nazionale Presidi, Antonello Giannelli.
Così, se per i Sindaci il green pass sarebbe un modo per tutelare la continuità didattica, per i presidi sarebbe invece un rischio, nonché uno strumento discriminatorio. Contrario si è detto anche il Sottosegretario dell’Istruzione Rossano Sasso: «Irricevibile la proposta di alcuni Sindaci, per lo più di sinistra, secondo cui i nostri bambini per potersi recare a scuola in presenza dovrebbero esibire il green pass, oppure farsi un tampone ogni 48 ore. Un’idea malsana che non meriterebbe nemmeno un commento se non fosse che vede protagonisti alcuni rappresentanti delle istituzioni. Secondo questi signori, dunque, un bambino non vaccinato dovrebbe rinunciare alla scuola e rimanere a casa. Ipotesi agghiacciante, da respingere immediatamente e con fermezza».
Al di là della polemica di natura politica – «per lo più di sinistra» che, nello specifico, non significa nulla – per Sasso bisogna potenziare il sistema di tracciamento, gli impianti di areazione degli istituti scolastico (con un investimento di 300 milioni di euro da parte del Ministero dell’Economia) e fornire a Figliuolo i rinforzi militari necessari per adempiere al suo progetto di istituire dei presidi capace di monitorare la situazione nelle scuole. Di simile avviso è anche Giannelli: «Attendiamo ancora di vedere gli esiti dell’intervento delle forze messe in campo dal generale Figliuolo», ha detto il numero uno dell’ANP. «Ci saremmo aspettati, infatti, una rapida inversione di tendenza in termini di efficienza delle ASL e di efficacia della campagna di testing e tracing, operazioni che dovrebbero garantire la scuola in presenza».
I firmatari, invece, rilanciano con l’opportunità di tamponi gratuiti per i bambini e ragazzi i cui genitori non intendono vaccinarli. E aggiungono, per bocca di Ricci: «Dopo tutti i discorsi fatti sulla scuola in presenza, ci troviamo daccapo con la dad, quindi con i problemi per l’apprendimento, per la tenuta psicologica dei nostri ragazzi, che creano grande disagio alle famiglie, alle mamme e papà che devono andare al lavoro».
In tema di certificazione verde, gli studenti dai 12 anni in su sono già tenuti a esibirla per usufruire dei mezzi pubblici, come specifica una recente circolare del Ministero dell’Istruzione che, a proposito di utilizzo del trasporto pubblico o privato di linea precisa che questo è consentito, in zona bianca, in zona gialla e in zona arancione, con green pass “base” (vaccinazione, guarigione, tampone) o con green pass “rafforzato” (vaccinazione e guarigione). Tale disposizione si applica agli studenti a partire dai 12 anni di età. Non è invece soggetto all’obbligo di possesso del green pass, né base né rafforzato, l’utilizzo di trasporto scolastico dedicato esclusivamente ai minori di 12 anni (scuolabus). Una misura per la quale non è montata la polemica.
Al contrario, il dibattito sta montando in ore in cui si registra un rapido aumento di casi tra bambini e ragazzi: in una settimana, nella fascia di età 0-9 anni, l’incidenza è passata da 275 a 317 casi per 100mila. E l’incognita della variante Omicron non fa ben sperare. Secondo l’Istituto Superiore della Sanità, nella popolazione in età scolare, l’incidenza si mantiene elevata, specialmente nella fascia di età 6-11, dove si osserva all’incirca il 50% dei casi diagnosticati nella popolazione 0-19, la fascia dove al momento la circolazione del virus è più elevata.
Se dici scuola, in Italia, dici polemica. Scrivevamo in apertura ed è difficile – anche al netto di quanto appena esposto – smentirsi. Su queste pagine, a volte a mo’ di provocazione, altre con maggiore convinzione, abbiamo chiesto a più riprese quanto, tra green pass prima e obbligo vaccinale poi, fosse garantita la tutela del personale scolastico, laddove questo sia costretto a lavorare alla mercé di studenti per i quali non esiste tracciamento né forma di controllo adeguata. Al tempo stesso, è effettivamente complesso mantenere il giusto equilibrio tra il diritto alla salute, il diritto al lavoro e il diritto all’istruzione.
Qualunque sia il tema del giorno, dunque, si finisce sempre intorno allo stesso dilemma: perché non estendere l’obbligo vaccinale a tutta la popolazione? Cosa si aspetta? Perché alimentare questa guerra tra le parti quando ciò che conta è la tutela di ognuno?
Il solo modo per porre fine alle discriminazioni è mettere tutti sullo stesso piano. È investire, in strutture, sicurezza e servizi. È smettere di fare della scienza, della medicina, della salvaguardia della salute pubblica un discorso politico e appellarsi a dati oggettivi. A chi, per formazione e competenze, ne sa più di noi.
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