Cattedre vuote: il rientro in aula senza docenti
L’infinito dibattito sulla didattica a distanza ha spesso oscurato una serie di tematiche relative all’inefficienza della scuola italiana. E così, mentre ancora si discute del rientro in aula previsto per il prossimo gennaio – scongiurando, finalmente, bizzarre ipotesi sulle lezioni in presenza già in queste settimane prenatalizie –, l’opinione pubblica ha finito per trascurare ataviche criticità che hanno reso il sistema storicamente inadeguato. Parliamo, ad esempio, del corpo docente, tristemente in sottonumero persino a un giro di boa dalla ripresa.
Che si tratti di classi virtuali o fisiche, infatti, sono ancora troppe le cattedre scoperte e a denunciarlo, appena pochi giorni fa, hanno pensato i provveditori scolastici di Lombardia e Piemonte in audizione alla Camera. I dati parlano chiaro: all’ombra del Pirellone, su 20mila posti di ruolo – quindi a tempo indeterminato – a oggi soltanto 4mila risultano coperti. In Piemonte, dove le nomine da fare sono 6196, quelle fatte raggiungono appena le 1626. Alle scuole medie, su ogni 100 posti richiesti, ne sono stati assegnati appena 6. Discorso ancora più tragico se si guarda al sostegno: 2 su 2850; 43 su 6143 in Lombardia. Dati alla mano, il quadro sembra piuttosto simile in tutte le regioni del Nord Italia e in molte zone del Centro, dove particolari criticità si registrano nel Lazio di Zingaretti. Appena meglio, invece, sembra andare al Mezzogiorno, dove i posti assegnati sono stati accettati in percentuali decisamente superiori.
In effetti, quest’anno l’arruolamento è parso ancora più complesso di quelli precedenti, complice la pandemia e il tanto discusso blocco quinquennale secondo cui, soltanto dopo i cinque anni di servizio effettivo nella scuola di titolarità (quella in cui si viene assunti), il docente può avanzare istanza di trasferimento, assegnazione provvisoria, utilizzazione e supplenza. Considerando che il numero maggiore di cattedre scoperte è al Settentrione, mentre gli insegnanti in cerca di collocazione sono soprattutto al Sud, non è difficile comprendere perché, in questa fase, domanda e offerta stiano faticando a incontrarsi. Come se non bastasse, i rinvii dei concorsi stanno acuendo le già tragiche difficoltà e, al momento, nessuna data è stata segnata sul calendario come utile per la ripresa delle selezioni straordinarie – interrotte con non poche polemiche – e per l’inizio di quelle ordinarie, che restano ancora da definire. L’unica certezza è che nei prossimi giorni, per coloro che hanno già sostenuto gli esami lo scorso ottobre, si procederà alla correzione da remoto.
In fondo, lo stesso Ministero dell’Istruzione aveva ammesso che 66654 posti erano rimasti disponibili dopo la fase delle assunzioni a tempo indeterminato e coperti inevitabilmente con le supplenze, posti che erano preventivati, a fronte del progressivo esaurimento delle graduatorie dei precedenti concorsi e di quelle a esaurimento. Posti che il MIUR credeva sarebbero stati assegnati dalle procedure bandite nonostante il periodo di emergenza da COVID-19 e, invece, rimasti vacanti, per un totale di più di due cattedre su tre secondo una stima provvisoria. A tal proposito, a nulla – ma lo avevamo già pronosticato – è valsa la call veloce, vale a dire l’ulteriore opportunità offerta ai precari per aspirare a una docenza indeterminata.
Come da decreto ministeriale 25/2020, infatti, su base del tutto volontaria, gli insegnanti avrebbero potuto spostarsi in un’altra regione o provincia per ottenere più rapidamente la cattedra andando a occupare posti che altrimenti sarebbero stati destinati a supplenza. Quello della call veloce era un meccanismo fortemente sostenuto dal Ministro Azzolina, votato in Parlamento lo scorso dicembre. Una novità assoluta che – sosteneva la titolare del MIUR – mirava a rendere più efficiente il sistema di copertura delle cattedre e che, tuttavia, non ha mai convinto i sindacati soprattutto nell’ottica del vincolo quinquennale che gli aspiranti avrebbero potuto percepire – e hanno percepito – come un freno nell’avanzamento delle proprie domande, lasciando che la chiamata veloce si rivelasse un flop clamoroso.
Spente le luci sul fronte assunzioni, dunque, trascorsi quattro mesi infuocati di fallimenti ed errori fattuali e di comunicazione, l’ennesimo nodo di un sistema da rifare dalle sue fondamenta è venuto al pettine. E così si è scoperto che dei quasi 85mila posti annunciati dal MEF per l’anno 2020/2021, quelli realmente assegnati sono stati appena 18mila. 1 cattedra ogni 13 disponibili, per intenderci. 65mila posti in ruolo, invece, non sono andati al legittimo vincitore e questo per un duplice motivo: innanzitutto, tra le suddette cattedre, più della metà riguarda discipline sprovviste del docente di riferimento. Parliamo di materie scientifiche, la matematica su tutte, persino dell’italiano. Materie affidate, spesso, a supplenti inadeguati, privi delle necessarie competenze. In secondo luogo – scrivono i colleghi di La Repubblica –, per molte di quelle stesse cattedre il proprietario naturale ha detto no. Ha rifiutato, in tempi di COVID, un posto fisso.
È certamente difficile dare una spiegazione univoca ai tanti rifiuti. Molte sono di natura personale, altre senza ombra di dubbio legate a quella che è una situazione lavorativa che spesso – ormai troppo spesso – annichilisce gli aspiranti ma, anche, chi ci è già dentro. E molto, di questa assurda situazione, lo si deve alla Buona Scuola di Renzi che di buono non ha avuto decisamente nulla, se non per quei dirigenti diventati manager, padroni di aziende spersonalizzanti, e per una classe politica che nell’istruzione non può e non deve investire se intende salvaguardare la propria pelle.
E se risulta chiaro che si sia deciso a tavolino di compromettere l’anno scolastico in corso, nulla di meglio sembra promettere il prossimo con un’altra esplosione di cattedre vuote cui contribuiranno lo stop ai concorsi e le tante richieste di pensionamento. Anche per il 2021, dunque, il rischio è quello di ritrovarsi con un organico scarno, soprattutto al Nord. Il Ministero, infatti, parla di 27592 domande di pensionamento presentate lo scorso 7 dicembre – tra queste, poco meno di 16mila con Quota 100 – il cui 44% viene da Lombardia, Veneto, Piemonte, Liguria, Friuli Venezia Giulia ed Emilia-Romagna.
Non c’è sole all’orizzonte, quindi, ma questo si sapeva già. È tempo di agire, allora, o di uscire definitivamente allo scoperto: la pandemia non durerà per sempre.
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