Caos Campania: la scuola riapre, ma è solo propaganda
È arrivata nel pomeriggio di un sabato pieno di ansia e polemiche la notizia della riapertura delle scuole in Campania. Mentre l’intera regione si apprestava a diventare zona rossa, infatti, il comunicato stampa dell’Unità di crisi ha anticipato l’ordinanza n.90 firmata dal Presidente Vincenzo De Luca. Una scelta che lascia non poche perplessità.
Nel documento si legge che, fatta salva la sopravvenienza di ulteriori provvedimenti in conseguenza dell’evoluzione del contesto epidemiologico, le attività in presenza dei servizi dell’infanzia e delle prime classi della scuola primaria riprenderanno dal 24 novembre, previa effettuazione di screening su base volontaria sul personale docente e non docente e sugli alunni. Per i più piccini, dunque, la campanella tornerà a suonare già la prossima settimana. Per i più grandi, invece, bisognerà attendere il prossimo 30 novembre. Nel frattempo, a partire dal giorno 24, è dato mandato alle ASL territoriali e all’Istituto Zooprofilattico di assicurare i tamponi, sempre su base volontaria, al personale delle classi interessate, nonché agli alunni e ai relativi familiari conviventi.
Soltanto poche settimane fa, raccontavamo la sofferta – per noi – quanto inevitabile decisione di Vincenzo De Luca di ricorrere alla Dad al fine di porre un freno all’elevatissimo rischio di contagio all’interno degli istituti scolastici. Una scelta che, al netto delle conseguenti polemiche e delle smentite del Ministro Azzolina sulla sicurezza – mai provata – delle nostre scuole, aveva anticipato molte delle misure prese nei giorni a venire sull’intero territorio nazionale e di cui, per questo, il Governatore non aveva mai smesso di bearsi, nemmeno nelle sue più recenti esternazioni. Appare dunque strumentale, persino pericoloso, il repentino cambio di rotta di Palazzo Santa Lucia, soprattutto alla luce degli ultimi sviluppi e della soglia di allerta massima ormai raggiunta.
Le scuole, in Campania, sono chiuse dallo scorso 16 ottobre, quando in regione si registravano poco più di mille casi di positività quotidiani. Oggi, invece, i numeri oscillano dai 3mila ai 4mila nuovi contagiati al giorno cui vanno a sommarsi i deceduti e una situazione ormai al limite dell’irreparabile. La sanità è al collasso, i rapporti istituzionali lacerati, l’esasperazione alle stelle. Intanto, il balletto dei dati è sotto gli occhi di tutti, persino del Ministero della Salute, che ha inviato gli 007, e dell’I.S.S., che ha definito inattendibili i bollettini dell’Unità di crisi regionale. Nel vergognoso teatrino di accuse, scaricabarili e offese al limite della querela, dunque, la scelta di riprendere le attività didattiche in presenza sembra rispondere più a un’esigenza politico-mediatica che a una concreta possibilità di svolgere le lezioni in piena sicurezza. Come ad affermare che qui va tutto bene. Che qui l’emergenza fa meno danni di quanto si racconti. Che il resto, come ama ripetere De Luca, è puro sciacallaggio.
Tuttavia, chi vive questi territori – o la più ampia realtà italiana, non così dissimile dal degrado campano – sa bene che nessuna concreta miglioria è stata ancora apportata: gli edifici restano fatiscenti, i trasporti continuano a latitare, il personale non è stato assunto. Eppure, il tempo non è mancato. A mancare è stata – ed è – la volontà di investire seriamente nel comparto scuola o, più in generale, su una gestione oculata e veramente democratica della cosa pubblica che garantisca il rispetto dei più basilari diritti costituzionalmente riconosciuti: salute, istruzione, lavoro. Così, dopo ormai otto mesi dall’inizio di questo incubo, ci ritroviamo esattamente al punto di partenza, fedeli allo stesso leitmotiv: le scuole vanno riaperte. La motivazione, ovviamente, strizza l’occhio a un’innegabile verità, il rischio di dispersione scolastica da queste parti già preoccupante. Ma se a marzo non sapevamo cosa aspettarci e potevamo ancora riporre una qualche fiducia nei politicanti deputati a tutelarci, oggi sappiamo bene quanto questo sia fuorviante e oneroso.
Il sistema di monitoraggio è completamente saltato, quello di screening altrettanto fallimentare. Fuori e dentro le mura scolastiche sono diventati sempre più evidenti i limiti di un Paese che non conosce prevenzione, che di essa si disinteressa fino a quando non porta consenso elettorale, un Paese che della scuola e per la scuola nulla ha fatto, negli anni, se non impoverirla. Con che coraggio, dunque, si firma adesso il ripristino delle lezioni in presenza? Quali garanzie è in grado di offrire la Regione ai docenti, al personale ATA, alle famiglie che devono accompagnare i loro figli in aula temendo il peggio, dopo aver sperimentato su di sé, nei primi giorni in presenza, l’inefficacia delle misure adottate? Nessuna. Come a settembre. E di certo non se ne avrà alcuna nel giro di appena due settimane quando i numeri, grazie alla dichiarazione di zona rossa, potrebbero apparentemente rassicurare per poi tornare a salire e ricominciare tutto daccapo.
Lo scopo dell’eterna querelle sulla scuola è sviare l’attenzione sui reali problemi, sulle inefficienze, del Governo e delle istituzioni locali, che sanno di non avere più tempo e di averne sprecato a iosa. L’obiettivo è rispedire gli insegnanti in cattedra, come al fronte, per giustificare gli stipendi agli occhi di un’opinione pubblica convinta che didattica a distanza significhi starsene con le mani in mano, avere tempo libero, non fare niente. Significa rispondere alle strumentalizzazioni di chi sta sfruttando i disperati che chiedono sostegno per mettere i privati contro i dipendenti pubblici, gli autonomi contro gli statali, gli sfruttati contro – a loro dire – gli sfruttatori. E questo succede quando la sedia balla. Quando le scuse iniziano a essere poche. Quando tutti sono vittime di un corto circuito pericoloso e senza ritorno.
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