Tempo pieno: ancora disuguaglianze tra Nord e Sud
Un Paese due scuole, titolavamo qualche mese fa analizzando il rapporto SVIMEZ (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) denunciante lo stato dell’arte della scuola italiana.
Nel Mezzogiorno – raccontavano i dati – mancano infrastrutture e tempo pieno, così un bambino del Sud frequenta la scuola primaria per una media annua di 200 ore in meno rispetto a un suo coetaneo del Centro-Nord. Ore che coincidono di fatto con un anno di scuola perso. Oggi, che le attività sono riprese da quasi un mese, la situazione non è molto diversa.
Ancora adesso, infatti, molte scuole continuano a fare i conti con cattedre vacanti, orari ridotti, l’ammontare sostanziale di lezioni perse. In particolare per ciò che concerne le classi a tempo pieno dove gli alunni perdono mediamente due ore al giorno, circa il 25% del tempo scolastico settimanale totale (10 su 40).
In queste settimane sta succedendo soprattutto nel Lazio dove, denuncia Cristina Costarelli, presidente dell’Associazione nazionale dei presidi del Lazio e preside del liceo Newton di Roma, circa un istituto su cinque è attualmente interessato dal problema. E se nelle scuole superiori la situazione mantiene ancora un certo equilibrio, più difficile è alle elementari e alle medie.
Diverse cattedre, infatti, risultano ancora vacanti. A complicare il tutto anche i numerosi errori nelle liste delle GPS che, quindi, portano i docenti a essere convocati in altri istituti, causando nuove convocazioni, nomine e tempi protratti e incerti. Talune scuole, di conseguenza, stanno convocando autonomamente gli insegnanti attingendo dalle proprie graduatorie di istituto o attraverso la messa a disposizione, qualora queste risultassero esaurite.
Diversa è la situazione nel torinese dove 9 famiglie su 10 possono rifarsi al tempo pieno e dove, in un Comune come quello di Moncalieri, i ragazzi resteranno a scuola fino alle 16:30, con la possibilità di potenziare materie quali inglese o matematica, frequentare corsi di fotografia, robotica, giornalismo, sport e orto didattico.
Lo sport, in particolare, potrà essere praticato anche fino a sera perché le palestre ospiteranno, per chi vuole, anche corsi di associazioni con tariffe calmierate in base all’ISEE degli iscritti. L’investimento, racconta il Sindaco, è di circa 300mila euro: «Perché è un’esigenza delle famiglie sapere che quando finiscono le lezioni i loro figli non sono al parco o davanti al telefonino ma magari possono fare delle attività che favoriscono anche una crescita personale. E non tutte le famiglie possono permettersele».
Si tratta di una visione di scuola decisamente futuristica per il nostro Paese ma affatto inedita negli Stati europei che da tempo garantiscono a famiglie e ragazzi di poter vivere la scuola anche dopo le classiche ore di lezione frontale. Una visione che divide, ancora, il Nord dal Sud.
I servizi socio-educativi destinati all’infanzia – lo abbiamo denunciato spesso – sono caratterizzati dall’estrema frammentarietà dell’offerta e da profondi divari territoriali. Al Sud, infatti, circa 650mila alunni delle scuole primarie statali (79% del totale) non beneficiano di alcun servizio mensa. In Campania se ne contano 200mila (87%), in Sicilia 184mila (88%), in Puglia 100mila (65%), in Calabria 60mila (80%). Al Centro-Nord, invece, gli studenti senza mensa sono 700mila, il 46% del totale.
Tra le prime conseguenze di questi dati vi è, chiaramente, l’accesso al tempo pieno di cui solo il 18% degli alunni del Mezzogiorno può usufruire rispetto al 48% del Centro-Nord. Unica eccezione è la Basilicata (48%) che, tuttavia, non sposta gli equilibri in termini di differenze tra ore di scuola frequentate dai più piccoli.
Non soltanto mense, però: circa 550mila studenti delle primarie del Sud non frequentano istituti dotati di palestra. Solo la Puglia inverte la rotta, mentre registrano i numeri peggiori la Campania (170mila allievi privi del servizio, 73% del totale), la Sicilia (170mila, 81%), la Calabria (65mila, 83%). Un discorso che si mantiene piuttosto invariato anche per chi frequenta la scuola secondaria di secondo grado. E cosa succede quando viene negata la possibilità di fare attività fisica? Danni per la salute, la spesa pubblica e lo stile di vita della popolazione coinvolta.
Al Sud, quasi un minore su tre nella fascia tra i 6 e i 17 anni è in sovrappeso rispetto a un ragazzo su cinque nel Centro-Nord dove il 42% della popolazione adulta pratica sport regolarmente e il 26,8% saltuariamente. Nel Mezzogiorno invece le percentuali si invertono: la maggioranza pratica sport saltuariamente (33,2%) mentre la minoranza lo pratica abitualmente (27,2%). Il divario si riflette sulla percentuale di sedentari, con particolare riferimento per i minori: 15% nel Centro-Nord e 22% nel Centro-Sud. A questo non può non seguire un dato allarmante sulle aspettative di vita, inferiori di tre anni al Centro-Sud rispetto ai coetanei del Centro-Nord.
L’Italia, dunque, è attraversata da profonde disuguaglianze territoriali nelle opportunità di crescita dei bambini e degli adolescenti. Vi sono aree del Paese – quartieri di periferia, città satellite, aree interne – dove si concentrano tutte le forme di deprivazione (educativa, economica, ambientale) che rischiano di annientare le aspirazioni dei più giovani. E le disuguaglianze incidono, sin dalla più tenera età, anche nella fruizione dello spazio pubblico, condizionando la crescita, lo sviluppo e il benessere di ciascuno di noi e della comunità tutta. Ma sappiamo bene che proprio le disuguaglianze territoriali – dove si annidano segregazione, insicurezza e potere delle mafie – sono uno dei fattori scatenanti della povertà educativa. Quella di cui, di tanto in tanto, affolliamo pagine di giornali e salotti tv per non concludere nulla.
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