Campania: sempre meno dirigenti scolastici
Dall’anno scolastico 2024/2025, molti Comuni d’Italia vedranno drasticamente ridurre il proprio numero di istituti scolastici (quelli con meno di 900 alunni) e, dunque, l’offerta formativa.
La norma attualmente in vigore stabilisce che le scuole possono restare aperte con meno di 600 alunni solo in due casi: nelle piccole isole e in località di montagna. La Manovra di Bilancio, invece, consente, attraverso una modifica dell’articolo 19 del decreto legge 98/11, che si possa realizzare la riorganizzazione del sistema scolastico prevista nel PNRR con uno specifico decreto del Ministero dell’Istruzione e del Merito, di concerto con il MEF, previo accordo in sede di Conferenza unificata, con il quale entro il 30 giugno di ciascun anno viene definito l’organico dei dirigenti scolastici e dei DSGA.
A soffrire il dimensionamento saranno in prevalenza le province di Campania, Calabria, Puglia, Basilicata, Molise, Abruzzo, Sicilia e Sardegna, con la terra un tempo Felix prima nella lista delle regioni per accorpamenti di istituto. Il Meridione potrebbe proporre, dunque, una terza eccezione da applicare a zone con particolari disagi di carattere socio-economico al fine di scongiurare un ulteriore abbandono di terre ormai depredate di vita e opportunità, ma anche già vittime di dispersione scolastica implicita ed esplicita.
Per la Campania parliamo, ad esempio, di circa 170 fusioni, il che significa un taglio del personale ATA stimabile in almeno 500/600 unità e la cancellazione di 300 e più dirigenti. Gli accorpamenti che le scuole subiranno dall’anno scolastico 2024/2025 verranno decisi entro il 30 novembre dell’anno in corso. Il vecchio preside, dunque, diventerà unico per i due istituti ormai fusi, raddoppiando la propria mole di lavoro, così come la metà saranno i membri del personale ATA, anch’essi vittime di un aumento sproporzionato delle mansioni da svolgere.
Dimensionamento scolastico, certo, ma non solo. Nella regione del Vesuvio, infatti, si scopre che ci sono zero posti per i trasferimenti interregionali e zero per le nuove immissioni da graduatoria 2017. Di conseguenza, già quest’anno in Campania ci saranno circa 124 reggenze, vale a dire che un solo dirigente scolastico gestirà più istituti. Succederà in 24 scuole di Avellino, 15 sono nei Comuni dell’Alta Irpinia, altre in piccoli centri del beneventano; a Caserta sono le scuole del litorale e dell’Alto Casertano; nel napoletano sulle isole ma anche nei Comuni con profondo disagio economico e sociale. Infine a Salerno con ben 38 scuole in reggenza, in Costiera e in Cilento.
In pratica, 124 reggenze significa il sacrificio di 248 istituti: significa 124 dirigenti costretti a lavorare il doppio e 248 realtà scolastiche nel tentativo di trovare una gestione regolare e quotidiana che possa davvero definirsi tale, attenta a ogni esigenza presente e, soprattutto, futura. Significa rallentarne la crescita. Ma siamo sicuri che è questo ciò di cui ha bisogno l’istruzione italiana e l’istruzione in Campania? La risposta è decisamente superflua. Eppure, sono tanti i dirigenti scolastici fuori regione che potrebbero rientrare e coprire i posti vacanti. Posti che potrebbero occupare quotidianamente, proprio ciò che serve.
Nel Mezzogiorno – raccontano i dati – mancano infrastrutture e tempo pieno, così un bambino del Sud frequenta la scuola primaria per una media annua di 200 ore in meno rispetto a un suo coetaneo del Centro-Nord. Ore che coincidono di fatto con un anno di scuola perso. Nel Mezzogiorno la dispersione scolastica è più alta che nel resto del Paese e non va migliorando. Nel Mezzogiorno un ragazzo è altamente probabile che prenda il primo volo e vada a vivere dove una vita è possibile.
Un dirigente scolastico è chiamato anche a questo: a rappresentare e portare avanti battaglie e istanze, a farsi carico di tutto ciò che manca o non è sufficiente nel tentativo di cercare e/o offrire delle risposte. Costringerlo a lavorare il doppio o la metà, a seconda della prospettiva da cui la si guarda, può soltanto recare danno a territori già con il più alto tasso di povertà educativa, come le regioni del Sud, le aree interne e le periferie delle grandi città, dove l’offerta scolastica è più debole, in un circolo vizioso che si autoalimenta.
I diritti fondamentali che dovrebbero essere sempre garantiti, dunque, restano ancora, per la vita quotidiana di milioni di bambini e bambine, solo degli slogan vuoti. Per questo non possiamo permetterci meno dirigenti scolastici, meno personale, meno cure e attenzione ai singoli bisogni, di alunni, docenti e istituti tutti.
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