INAPP: il figlio di un laureato ha più del triplo delle possibilità di laurearsi
Nell’anno in cui il Ministero dell’Istruzione cambia nome, l’INAPP, l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, racconta una realtà – già ampiamente denunciata – che ben si differenzia dal mondo ovattato del dicastero di Viale Trastevere.
Non è bastato, infatti, aggiungere la parola “merito” alla denominazione del Ministero per cambiare una situazione tristemente consolidata che va ancora di più a sottolineare lo stallo di un ascensore sociale che di partire non vuole proprio saperne. È un dato di fatto: il figlio di un genitore laureato ha più del triplo delle possibilità di laurearsi rispetto al figlio di chi ha soltanto la terza media.
Nello specifico, tra i 30 e i 39 anni, la probabilità di laurearsi per il figlio di un laureato è del 61%, del 30% per il figlio di un diplomato e del 18% per chi ha al massimo la licenza media. E questo nonostante negli ultimi cinquant’anni il livello medio di istruzione sia cresciuto, a discapito di quello di chi proviene da famiglie meno istruite che, invece, si è ridotto drasticamente.
Diversi sono i fattori che influiscono a un simile fenomeno. Innanzitutto, l’esperienza dei genitori, le possibilità economiche del ceto di provenienza, i limiti dei meccanismi di transizione scuola-lavoro, insufficienti strumenti di sostegno negli studi per i giovani con basse disponibilità finanziarie. Talvolta inoltre, dice l’INAPP, il titolo di studio non è percepito dalle famiglie meno istruite come una chiave per l’affermazione lavorativa e ciò può indurre i genitori a non investire nell’istruzione del proprio figlio. E su questo potrebbe pesare non poco il fatto che in Italia i rendimenti dell’istruzione risultano mediamente più bassi di quelli registrati in altri paesi OCSE.
INAPP ritiene che bisognerebbe sostenere politiche e servizi che aiutino il raggiungimento dei livelli europei di istruzione, essenziali per una componente di forza lavoro strategica in chiave futura. In tal senso, non si possono più ignorare le disuguaglianze tra Nord e Sud ma, anche, tra grandi e piccoli centri. Al Sud, infatti, si registrano ancora più di quattro milioni di persone con solo la scuola media inferiore nella popolazione tra i 30 e 64 anni.
Gli studenti provenienti da nuclei familiari più fragili rischiano, spesso, di abbandonare gli studi o di registrare un peggior rendimento, questo perché condizioni socioeconomiche e povertà culturale non sono scollegate a differenza di quanto si racconti. E quelle condizioni precarie, perlopiù, riguardano una determinata area del Paese che progetti quali l’autonomia differenziata andranno sempre più a mortificare, senza alcuna possibilità reale di investimento e crescita.
È un discorso, questo, che anche sulle nostre pagine abbiamo affrontato spesso e che, invece, sembra interessare sempre troppo poco il Ministero oggi di Giuseppe Valditara. Colui che nella denominazione del dicastero ha voluto proprio la parolina di cui sopra: merito. Ma quale? Quello che ammette che a scuola, o all’università, non siamo tutti uguali? Perché è questo il ragionamento da cui dovremmo partire e su cui dovrebbe interrogarsi la politica prima di pensare a qualsivoglia riforma che vede spendere fondi pubblici soltanto per sperperarli.
Per definizione, il Ministero dell’Istruzione dovrebbe garantire apprendimento, formazione e conoscenza a ognuno senza distinzione, di classe come di qualsiasi altro termine di discriminazione. Dovrebbe garantire lo stesso diritto all’insegnamento, al docente come allo studente, perché non esiste – e non deve esistere – la possibilità di valutare la docenza secondo dei parametri oggettivi o, peggio, algoritmici. Dovrebbe insegnare ai ragazzi che la scuola non è competizione, non è me contro te, è solidarietà, fratellanza, mettersi in discussione per crescere e non per schiacciare. Un discorso che potrebbe estendersi anche al corpo insegnanti.
E, invece, con questo governo – ma, ahinoi, anche con quelli precedenti – si intende porre un accento diverso, quello del merito, sempre più classista e sfruttante, per dividere, per evidenziare la differenza, per sottolineare che chi ha un background più stabile e florido è destinato a traguardi più importanti rispetto a chi, in cambio, non ha le stesse opportunità in partenza.
Cosa fare, dunque? Valditara, nella giornata di venerdì ospite a Bari, in occasione del convegno La scuola, un cantiere sempre aperto sul futuro, ha lanciato l’idea Agenda Sud, un programma per ora sperimentale da attuare in 150 scuole, con progetti che diano risposte al fenomeno della dispersione scolastica.
«Non possiamo accettare che su questo fronte ci siano due Italie. Abbiamo il dovere di impegnarci con iniziative concrete perché tutta la scuola italiana possa garantire le stesse opportunità senza distinzioni» ha dichiarato il Ministro. Crederci, dinanzi alle scelte che poi concretamente mortificano e dividono ulteriormente il Paese, si fa sempre più difficile.
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