Un ragazzo su sei lascia la scuola: a chi importa?
Un ragazzo su sei lascia la scuola: al Centro-Nord il tasso di abbandono scolastico è pari al 10,4%, al Centro-Sud al 16,6%, a Napoli si tocca quota 23%. I nuovi dati SVIMEZ fotografano un’Italia ancora una volta divisa in due, quasi in tre, con disparità che riguardano tutti i servizi, dalle mense alle palestre, al tempo pieno, e il capoluogo campano che si conferma incapace di ascoltare i bisogni, anche didattici, dei più giovani.
Sono 83mila, racconta SVIMEZ, i ragazzi che alla chiusura degli scrutini scorsi sono stati bocciati per non aver raggiunto la soglia minima delle presenze. Quest’anno il dato rischia almeno di raddoppiare. Ma chi si preoccupa di loro? La prima risposta non è così lontana dalla realtà: nessuno. Sono persi, dispersi e invisibili. Di questi ragazzi, spesso, non riescono a occuparsi nemmeno le famiglie. E se la pandemia ha acuito le discrepanze, adesso che lo spacca-Italia di Calderoli diverrà realtà, a molti non resterà niente.
Nel Mezzogiorno – denunciava SVIMEZ qualche mese fa – mancano infrastrutture e tempo pieno, così un bambino del Sud frequenta la scuola primaria per una media annua di 200 ore in meno rispetto a un suo coetaneo del Centro-Nord. Ore che coincidono di fatto con un anno di scuola perso.
I servizi socio-educativi destinati all’infanzia, così come quelli dedicati a fasce di età più alte, sono caratterizzati dall’estrema frammentarietà dell’offerta e da profondi divari territoriali. Al Sud, infatti, circa 650mila alunni delle scuole primarie statali (79% del totale) non beneficiano di alcun servizio mensa. In Campania se ne contano 200mila (87%), in Sicilia 184mila (88%), in Puglia 100mila (65%), in Calabria 60mila (80%). Al Centro-Nord, invece, gli studenti senza mensa sono 700mila, il 46% del totale.
Tra le prime conseguenze di questi dati vi è, come accennavamo, l’accesso al tempo pieno di cui solo il 18% degli alunni del Mezzogiorno può usufruire rispetto al 48% dei loro coetanei centrosettentrionali. Unica eccezione è la Basilicata (48%).
Non soltanto mense, però: circa 550mila studenti delle primarie del Sud non frequentano istituti dotati di palestra. Solo la Puglia inverte la rotta, mentre registrano i numeri peggiori la Campania (170mila allievi privi del servizio, 73% del totale), la Sicilia (170mila, 81%), la Calabria (65mila, 83%). Un discorso che si mantiene piuttosto invariato anche per chi frequenta la scuola secondaria di secondo grado. E cosa succede quando viene negata la possibilità di fare attività fisica? Danni per la salute, la spesa pubblica e lo stile di vita della popolazione coinvolta.
Al Sud, quasi un minore su tre nella fascia tra i 6 e i 17 anni è in sovrappeso rispetto a un ragazzo su cinque nel Centro-Nord dove il 42% della popolazione adulta pratica sport regolarmente e il 26,8% saltuariamente. A questo non può non seguire un dato allarmante sulle aspettative di vita, inferiori di tre anni al Centro-Sud rispetto ai coetanei del Centro-Nord. Alla base di queste discrepanze vi è, ovviamente, una differenza di spesa pubblica. Dallo studio effettuato da SVIMEZ risulta infatti un progressivo disinvestimento che ha interessato soprattutto le regioni meridionali.
Tra il 2008 e il 2020, la spesa complessiva si è ridotta del 19,5% al Sud (più dell’8% in più del Centro-Nord), dove la spesa per studente è di circa 100 euro annui inferiore rispetto al resto del Paese (5080 euro per studente contro 5185). Lo scarto aumenta se si considera il solo comparto della scuola, con una spesa per alunno di 6025 euro contro un valore di 6395, e se si guarda alla sola spesa per investimenti: 34,6 contro 51 euro per studente.
Tutto questo si alimenta e traduce con e in denatalità ed emigrazione, fenomeni che riguardano l’intero Paese ma che nel Mezzogiorno hanno un peso specifico decisamente diverso. È su questa scia – e sul sogno di autonomia differenziata – che vanno analizzati gli accorpamenti che le scuole subiranno dall’anno scolastico 2024/2025 e che verranno decisi entro il 30 novembre dell’anno in corso. Le fusioni si concentreranno per circa il 70% nel Mezzogiorno.
Chi si preoccupa di questi ragazzi, dunque? Nessuno. Di certo, non il Ministero che stanzia 150 milioni per i docenti tutor e orientatore. Due figure che, di questo passo, potrebbero presto non avere un lavoro.
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