Opzione donna agli uomini e sempre meno soldi: è questa la pensione anticipata di FdI?
Mancano ancora pochi giorni alla nomina del nuovo Ministro dell’Istruzione. Tra chi lo vorrebbe uscente dalle fila di Forza Italia e chi, invece, alla luce delle ultime discussioni intestine alla maggioranza ancora non sa cosa aspettarsi, le notizie sulla scuola continuano a susseguirsi e non per come vorremmo.
Il dibattito sul tema, completamente assente nel discorso di insediamento del nuovo Presidente della Camera Lorenzo Fontana – la cui presenza rischia di non essere super partes come dovrebbe, vista l’ingerenza passata e le posizioni ben chiare dell’ex Ministro per la famiglia e le disabilità anche in materia di insegnamento –, sta ruotando in particolare intorno a due questioni fondamentali: caro bollette e pensione anticipata.
Apparentemente distanti, infatti, entrambi gli argomenti vanno a scontarsi con il periodo piuttosto complesso che il Paese sta vivendo e con le scarse disponibilità economiche delle famiglie e non solo. Così, se al primo si risponde con la settimana corta – ormai realtà sempre più concreta e diffusa – e svariate ipotesi relative al minor utilizzo dei termosifoni, magari chiedendo alla popolazione scolastica di munirsi di vestiti caldi e imbottiti – opzioni, tutte, che lasciano interdetti sulla volontà di fare qualcosa di concreto a supporto della scuola e della didattica –, il secondo lascia poco respiro ai tanti che desidererebbero conoscere quale sarà il loro destino.
Quanto stiamo per raccontare, ovviamente, non costituisce ancora riforma e, tuttavia, il gran parlare che già fa di sé potrebbe rivelarsi effettivo, spegnendo il sorriso di quei docenti che – prima categoria per numeri di voti – ha dato il proprio sostegno a Giorgia Meloni e i suoi Fratelli d’Italia.
Numerose indiscrezioni parlano, infatti, della prossima Legge di Bilancio che andrebbe a disciplinare anche l’anticipo pensionistico. Quota 102 verrà quasi certamente superata, Quota 41 – cavallo di battaglia della Lega di Matteo Salvini – sembra meno probabile. Al contrario, comincia a prendere forma una soluzione più drastica e meno conveniente per i lavoratori, già al vaglio del Presidente del Consiglio uscente Mario Draghi.
Si tratta dell’estensione anche agli uomini di Opzione Donna, vale a dire pensione a 58-59 anni più 35 di contributi ma con un ricalcolo dell’assegno contributivo. Una soluzione che, se da un lato consentirebbe la realizzazione di una promessa elettorale (la flessibilità in uscita), dall’altro consentirebbe di non pesare ulteriormente sulle casse dello Stato.
Anticipando di qualche anno la pensione, infatti, il personale scolastico finirebbe per lasciare il servizio percependo meno di 1200 euro al mese, anziché i previsti 1700/1800 mensili in caso di uscita dal lavoro al raggiungimento dei 42 anni di contributi o dei 67 anagrafici. Addirittura, i dipendenti ATA arriverebbero a percepire circa mille euro al mese, di certo non una cifra congrua all’impegno profuso per un’intera carriera.
Questa possibilità, dicevamo, era già sul tavolo del Premier Draghi, che ne parlava come di Opzione Tutti. La misura assistenziale al momento solo ad appannaggio delle donne scadrà, però, il prossimo 31 dicembre, così come l’APE sociale. Il che significa che, in assenza di una proroga o una riforma da parte del nuovo governo si tornerebbe alla Legge Fornero, dunque pensione a 67 anni.
Stando a quanto si apprende, le forze di maggioranza intendono tuttavia prorogarle e, perché no, estenderle anche ai dipendenti uomini. In entrambi i casi si tratterebbe comunque di un’ingiustizia, un sacrificio eccessivo, per non parlare di ricatto: vuoi andare in pensione? Rinuncia a quanto hai guadagnato con fatica, sudore e impegno. Altrimenti, resta al tuo posto anche se non ne hai più le forze.
L’ipotesi, ovviamente, non è l’unica soluzione presa in considerazione dal centrodestra. Come abbiamo visto, infatti, anche la Lega ha proposto una propria soluzione. Si tratta di Quota 41, che consentirebbe di andare in pensione a chi ha almeno 41 anni di contribuiti. Attualmente, invece, il sistema prevede pensione anticipata a 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne.
In campagna elettorale la coalizione si era impegnata ad aumentare la pensione minima nonché la flessibilità in uscita dal mondo del lavoro, favorendo il ricambio generazionale. Dati alla mano, però, i conti non permetterebbero grandi manovre. Si calcola, infatti, che la spesa per le pensioni raggiungerà quota 320.8 miliardi nel 2023, 338.3 nel 2024 e 349.8 nel 2025, arrivando per quell’anno al 17.6% del PIL con il rischio che lo Stato possa non riuscire a sostenere questi numeri.
Sembra incredibilmente ingiusto richiedere, come sempre, sacrifici a chi già tanti ne fa nel corso della propria carriera. D’altra parte, al momento di chiedere il voto, tutti i partiti hanno avanzato grandi promesse al mondo della scuola: dall’adeguamento dello stipendio dei docenti agli standard europei – che a oggi vedono l’Italia lontanissima dalle prime posizioni e i nostri insegnanti ultimi tra i dipendenti della pubblica amministrazione – alla pensione anticipata. Proclami che, poi, al netto dei costi, quasi sicuramente non troveranno riscontro nella realtà perché basati su impossibilità di spesa e nessuna previsione concreta di manovra.
Riscontro che, al contrario, siamo piuttosto certi si farà effettivo per realizzare un altro punto fortemente rivendicato dal centrodestra: la tutela delle scuole paritarie per la libertà di scelta educativa, anche attraverso l’introduzione di voucher da poter spendere liberamente nelle diverse strutture scolastiche.
Non sono bastati, a quanto pare, i finanziamenti già messi a disposizione dallo Stato italiano in favore delle scuole private nel 2020, un intervento importantissimo di 150 milioni di euro – previsto dai decreti emanati in risposta alla crisi coronavirus – con il quale si intendeva supplire ai mancati introiti derivanti dal pagamento delle rette mensili da parte dei genitori. Non è bastato nemmeno il successivo emendamento, da altri 150 milioni (per un totale di 300), che è andato a rimpinzare le casse degli istituti paritari, una manovra che ha voltato lo sguardo all’articolo 33 della Costituzione – che sancisce la possibilità di creare istituti privati ma senza oneri per lo Stato – abbracciata da tutte le forze politiche a esclusione del MoVimento 5 Stelle.
L’ennesimo schiaffo all’istruzione pubblica che mette, spesso, incredibilmente d’accordo le varie fazioni, straordinariamente compatte quando il tema del dibattito ruota attorno agli interessi di imprenditori privati, rischia di ripetersi ancora. Tanto, a stringerle la cinghia, poi sono sempre i soliti.
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