Tutti promossi: dopo il governo, anche la scuola dei migliori

scuola dei miglioriLa scuola dei migliori. A leggere i dati resi noti dal Ministero dell’Istruzione (qui) in merito agli ultimi esami di Stato della scuola secondaria di primo e secondo grado, tanto parlare su riforme e lacune sembra del tutto superfluo. Perché mentre ci si interroga su come e cosa migliorare del sistema scolastico del nostro Paese, in aula, tra i banchi e al momento degli scrutini, non tutto sembra perduto. Anzi, fa addirittura ben sperare guardare al futuro. Ma il quadro è davvero così roseo? Qualche dubbio solletica chi scrive, ma partiamo dai numeri.

Per la prima volta dall’emergenza pandemica, gli esami sono tornati a essere non soltanto orali, ma anche scritti. Per ciò che concerne il primo ciclo, il tasso di ammissione è stato del 98.5% per un totale di superamento delle prove pari al 99.9% degli studenti. Molise e Basilicata hanno registrato il 100%. La lode, invece, è stata ottenuta dal 5.9% degli alunni con percentuali maggiori in Puglia (8.8%), Calabria (8.6%) e Molise (8.5%). Più di un candidato su due ha ottenuto un voto finale dall’8 in su (9 per il 19.4%, 8 per il 25.8%, 10 per il 7.2%).

Per ciò che concerne il secondo ciclo, il 96.2% dei candidati è stato ammesso alla Maturità. I diplomati sono il 99.9%, come nel 2020/2021. Diverso, invece, è il dato relativo alle lodi che aumentano lievemente rispetto allo scorso anno, attestandosi al 3.4% contro il 3% precedente. Calano, in cambio, gli studenti che hanno ottenuto il 100 (9.4% rispetto al 13.5%).

Piuttosto stabili, pur registrando leggeri incrementi, sono le valutazioni comprese tra 91 e 99 (15.1%) e tra 81 e 90 (21%). Nella fascia tra 60-80 si colloca il 51% degli studenti rispetto al 47.1% dello scorso anno. I diplomati tra il 71 e l’80 passano dal 23.8% al 27%. 20.1% quelli tra 61 e 70. Diminuiscono i 60: dal 4.8% al 4.1%.

Le lodi nella secondaria di secondo grado sono 16510 con gli studenti calabresi che si attestano sul podio dei migliori in percentuale (6.6%). Seguono Puglia (6.3%), Umbria (5%) e Sicilia (4.8%). Le lodi sono così ripartite: liceo classico (9%), liceo europeo (7.9%), scientifico (7.5%). Solo l’1.8% negli indirizzi tecnici e 0.9% nei professionali. Infine, l’8.9% delle studentesse e degli studenti dei percorsi quadriennali ha ottenuto la lode e il 13.3% il 100.

Tutti promossi, dunque. O giù di lì. Aumentano le lodi, aumentano i voti, migliora l’andamento generale. Eppure, non serve una lente di ingrandimento per guardare, meglio e più a fondo, numeri che non rispecchiano l’effettiva preparazione dei nostri ragazzi. Basta leggere i dati – e i danni – collaterali.

Ogni anno si riscontra, a partire dalle Invalsi, un calo costante nell’apprendimento e nelle competenze acquisite dagli studenti italiani. Dalle materie umanistiche passando per quelle scientifiche alla conoscenza della lingua inglese, i dati – al netto della pandemia e delle variabili – non sono mai incoraggianti. Segnalano, piuttosto, l’accrescersi delle lacune in matematica e in italiano, ad esempio, così come più in generale dell’interesse e della fiducia che i giovani nutrono nei confronti dell’istituzione scolastica. In particolare, proprio in quelle regioni che – puntuali – trionfano agli esami, si registrano le situazioni più problematiche, in termini di competenze, ma anche di divario atavico tra il Nord e il Sud del Paese, al punto da individuare chiaramente alcune priorità d’intervento per contenere gli effetti dei divari territoriali. 

Per restare nell’ambito dell’anno appena concluso, è alla secondaria che si evidenziano alcune temibili criticità. Persistono le difficoltà nella comprensione del testo (tra il 2018 e il 2022, il numero di allievi che raggiungono un punteggio adeguato di comprensione è diminuito del 5%) e si acuiscono le differenze tra Nord e Sud. La Maturità fotografa al meglio la situazione: solo il 52% dei maturandi arriva in sede di esame con le competenze previste nei programmi nazionali di italiano e il 50% con quelle necessarie per la matematica52% anche per le competenze in inglese in fase di lettura (reading) e 38% per l’ascolto del B2 (listening).

Più precisamente, al termine della secondaria di primo grado, il 61% degli studenti raggiunge almeno il livello minimo di competenze atteso in italiano. Per la matematica, invece, raggiunge il livello adeguato solo il 56% dei partecipanti alle Invalsi. Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna registrano i dati peggiori, con un livello medio di conoscenza nettamente più basso e lontano dagli indicatori nazionali. Eppure, sono anche le regioni che, solitamente, registrano più eccellenze in fase di scrutinio.

In quinta superiore, la situazione non è certamente migliore. In questo caso, tuttavia, siamo al termine dei tredici anni di scuola, quando le competenze dovrebbero – anzi, devono – essere ormai acquisite e sedimentate per affacciarsi sul mondo universitario e/o professionale.

Anche la dispersione scolastica, che quest’anno si è attestata al 9.7%, si registra perlopiù nelle stesse regioni, anche se in Puglia (-4.3%) e in Calabria (-3.8%) in leggero calo, pur restando tra le regioni dove la percentuale è più alta che nel resto di Italia. Maglia nera è, come sempre, la Campania dove uno studente su cinque non va a scuola. Nella stessa regione, tra i maturandi, sei studenti su dieci non raggiungono il livello base di italiano. Ciò significa che non solo non comprendono un testo nella loro lingua madre, ma che faticano anche a esprimersi. Sette su dieci, invece, sono abbondantemente sotto la media nazionale in matematica e ben al di sotto della soglia prevista.

A tal proposito, secondo gli esperti, gli studenti del Sud rischiano di avere limitate prospettive di inserimento nella societàProblemi che impongono una riflessione molto seria sulla necessità di riformare la scuola, nonostante gli scrutini vogliano dire altro, proponendo una classe di migliori che, nei fatti, nel Paese reale, non esiste. Ma perché tanta discrepanza? Qual è la vera situazione in Italia? Perché – se i ragazzi non sono preparati, o non lo sono a sufficienza – nelle nostre scuole non si boccia più? La risposta, anche stavolta, è nella gestione sempre più aziendalistica dell’istruzione che vede i dirigenti come manager e gli studenti come merci, tutt’al più manovalanza.

Sfido chiunque a non avere aneddoti di risultati finali poco coerenti con il percorso scolastico dell’alunno o, in cambio, a non aver mai intercettato quella volontà di promozione assicurata a tutti per mantenere alto il rating di quel determinato istituto. Penso, poi, alla Buona Scuola di Renzi, il piano di governo la cui antifrastica denominazione suscita un amaro sorriso, e al decreto che, di fatto, rendeva quasi impossibile la bocciatura: Le alunne e gli alunni della scuola primaria sono ammessi alla classe successiva e alla prima classe di scuola secondaria di primo grado anche in presenza di livelli di apprendimento parzialmente raggiunti o in via di prima acquisizione. Il risultato è che alla fine – nonostante gli sforzi dei docenti, la loro cura e dedizione, ormai passano e si premiano tutti. Non c’è tempo per fermarsi. Per dedicarsi ai ragazzi. Per aiutarli. Per formarli davvero. Chi è più forte ce la fa da sé, ma anche chi è più furbo. Il problema, tanto, si ripresenta dopo.

Dopo è il mercato del lavoro. Sempre più spregiudicato e spersonalizzante, il mondo produttivo lamenta costante assenza di capitale umano perché – al netto di uno sfruttamento sempre più legalizzato e di mille e altre falle – le aspettative tra l’impiego e l’offerta educativa non si incontrano mai, causando una grave perdita di talenti, capacità e intelligenze.

In uno dei suoi più recenti e accurati report, Save the Children racconta che sono le ragazze a vivere, ancor più dei ragazzi, questa deprivazione perché la condizione di NEET si declina, in primo luogo, al femminile […] a causa di consolidati stereotipi di genere e di una barriera ancora più alta da superare per entrare nel mondo del lavoro. Sono nodi da affrontare e sciogliere subito, per guardare al futuro del Paese, e lo si può fare solo con una strategia integrata che parta dal mondo della scuola. Là dove, al contrario, sono le stesse ragazze a registrare carriere ben più brillanti.

[…] Il quadro si fa ancora più cupo se consideriamo che negli ultimi dieci anni circa 345mila giovani, tra i 18 e i 39 anni hanno deciso di lasciare l’Italia per trovare un lavoro altrove. Una scelta in molti casi motivata non dalla giusta esigenza di sperimentarsi temporaneamente in altri contesti, ma dalla assenza di alternativa. L’Italia ha complessivamente pochi laureati. Il percorso di istruzione, in tutto il mondo, migliora le condizioni di vita, non solo sul piano economico. In Italia il figlio di genitori laureati ha il 75% delle probabilità di laurearsi a fronte del 12% di chi ha i genitori con la licenza media.

Come già suggerito in questa sede, va pensata – con urgenza – una riforma del sistema di orientamento scolastico, con un’attività didattica che sia parte integrante del percorso educativo, per mettere ogni studente nelle condizioni di operare scelte consapevoli nell’ambito dei percorsi di studio e professionali, alla luce delle effettive propensioni e capacità e non in base alla situazione familiare di origine. In questo quadro diventano prioritari, se rinnovati, i Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (PCTO) al momento fallimentari e affatto funzionali all’inserimento nel mondo del lavoro di chi vi prende parte.

Va ripensata, però, innanzitutto la scuola come fucina non solo di futuri talenti o dirigenti. Va ripensata come officina di cittadini, attivi, pensanti, indipendenti ai quali garantire tutti gli strumenti proprio per emanciparsi, nel pensiero come nella professione. Va sdoganata la bocciatura, che non è fallimento ma momento di crescita. Decostruito, una volta per tutte, il concetto di migliori che a scuola, come in politica, non ci sta portando troppo lontano.

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