Invalsi 2022: il problema non era (solo) la dad
Italiano, matematica, Sud. Le prove Invalsi 2022 somigliano molto a quelle del 2019, al mondo prima dell’emergenza sanitaria. Non un tracollo come nel 2021, ma comunque per nulla incoraggianti: «Gli esiti di quest’anno confermano che si arresta il calo che abbiamo riscontrato con la pandemia» ha affermato il presidente Invalsi Roberto Ricci, tuttavia non c’è molto da gioire.
Hanno partecipato ai test oltre 920mila alunni delle scuole primarie, circa 545mila delle scuole secondarie di primo grado e oltre 953mila delle scuole secondarie di secondo grado. E tra queste c’è molta differenza.
Le primarie restano il ciclo di istruzione dove le difficoltà emergono meno. Certo, aumentano le lacune in matematica, soprattutto in regioni come Calabria e Basilicata, ma migliorano i risultati delle prove in inglese confermando il trend positivo dello scorso anno, in particolare nella comprensione dell’ascolto. Bene anche le prove di italiano, in cui circa tre alunni su quattro (72%) raggiungono il livello di base. I risultati migliori si registrano in Valle d’Aosta, Umbria, Lazio e Molise.
Dunque se, in questo caso, i risultati sono rimasti sostanzialmente invariati, con alcune flessioni e anche qualche miglioramento, diversa è la situazione crescendo di grado. Alla secondaria, infatti, si evidenziano alcune criticità che non possono lasciare indifferenti. Persistono le difficoltà nella comprensione del testo (tra il 2018 e il 2022, il numero di allievi che raggiungono un punteggio adeguato di comprensione è diminuito del 5%) e si acuiscono le differenze tra Nord e Sud, al punto da individuare chiaramente alcune priorità d’intervento per contenere gli effetti dei divari territoriali.
In particolare, sono gli esami di maturità a fotografare al meglio la situazione: solo il 52% dei maturandi arriva in sede di esame con le competenze previste nei programmi nazionali di italiano (64% nel 2019) e il 50% con quelle necessarie per la matematica. 52% anche per le competenze in inglese in fase di lettura (reading) e 38% per l’ascolto del B2 (listening).
Più precisamente, al termine della secondaria di primo grado, il 61% degli studenti raggiunge almeno il livello minimo di competenze atteso in italiano. Per la matematica, invece, raggiunge il livello adeguato solo il 56% dei partecipanti alle Invalsi. Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna registrano i dati peggiori, con un livello medio di conoscenza nettamente più basso e lontano dagli indicatori nazionali. Gli esiti generali restano comunque invariati rispetto a quelli dello scorso anno e questa, per i ricercatori, è una buona notizia: significa, infatti, che il drastico crollo dell’apprendimento registrato in piena pandemia ha subito un arresto.
Come dicevamo, migliora, invece, l’apprendimento dell’inglese. Il livello A2 nel reading è del 78%; nel listening, in cambio, le differenze aumentano: nelle regioni meridionali l’esito medio è pari al livello A1, cioè quello richiesto per la quinta elementare. Il 62% del totale, comunque, raggiunge il livello A2, con +8 punti percentuali rispetto al 2018.
Ancora meno rassicuranti sono i dati delle scuole superiori. Se prendiamo ad esempio le classi seconde, le competenze in italiano ritenute sufficienti riguardano il 66% degli studenti con la Provincia di Trento e il Veneto che spiccano per numeri decisamente sopra la media; disastrosa, invece, è la situazione matematica per la quale – tranne in Lombardia, Trento e Veneto – si registra un netto calo: solo il 54% degli studenti raggiunge il livello adeguato. Addirittura in Sardegna chi non ottiene una competenza sufficiente corrisponde al 70% degli alunni. Un numero enorme.
In quinta superiore, lo accennavamo pocanzi, la situazione non è certamente migliore, né in italiano né in matematica. Eppure, in questo caso, siamo al termine dei tredici anni di scuola, quando le competenze dovrebbero – anzi, devono – essere ormai acquisite e sedimentate per affacciarsi al mondo universitario e/o professionale pronti e forniti degli strumenti necessari.
Leggermente diminuito è, rispetto all’anno precedente, il dato relativo alla dispersione scolastica, che si attesta al 9.7%. Qualche miglioramento si registra in Puglia (-4.3%) e in Calabria (-3.8%), sebbene restino tra le regioni dove la percentuale è più alta che nel resto di Italia. Maglia nera resta la Campania dove uno studente su cinque non va a scuola, in pratica il 20%. Nella stessa regione, tra i maturandi, sei studenti su dieci non raggiungono il livello base di italiano. Ciò significa che non solo non comprendono un testo nella loro lingua madre, ma che faticano anche a esprimersi. Sette su dieci, invece, sono abbondantemente sotto la media nazionale in matematica e ben al di sotto della soglia prevista. Una catastrofe educativa che nasce, tuttavia, sin dalle elementari con evidenti effetti negativi sui gradi scolastici successivi.
Il gap cresce, però, proprio alle superiori dove il divario con il Centro e il Nord del Paese aumenta notevolmente, così gli studenti del Sud rischiano di avere limitate prospettive di inserimento nella società. Problemi che – si legge nel documento – hanno origini lontane, spesso molto lontane nel tempo che ci indicano che le tendenze evidenziate si riscontrano già a partire dai primi anni 2000 senza che si siano trovate soluzioni adeguate ed efficaci.
«La pubblicazione delle rilevazioni nazionali degli apprendimenti 2021-2022 effettuate dall’Invalsi impone una riflessione molto seria sulla necessità di riformare la scuola. Se da una parte alcuni dati ci lasciano qualche margine di positività, vale a dire l’arrestarsi del crollo delle percentuali di apprendimento registrato lo scorso anno scolastico, è pur vero che ci sono tanti, troppi segnali rivelatori di un malessere che non può lasciare indifferente il Paese» ha dichiarato Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi.
«Se, dunque, possono accogliersi con favore la tenuta complessiva della scuola primaria, i buoni risultati di alcune regioni e il recupero significativo di altre su alcune delle aree disciplinari indagate, è ben diverso l’atteggiamento da tenere a fronte della drammatica fotografia restituita dagli esiti 2022. Infatti, nonostante il generalizzato rientro in presenza che, pure, ha contribuito a qualche lieve miglioramento, esplodono in tutta la loro virulenza i mali noti della scuola. Divari territoriali che stanno diventando insostenibili, una dispersione implicita che sembra annullare l’operato della scuola e, più in generale, una dispersione scolastica sempre meno arginata, alunni provenienti da contesti socio-economici svantaggiati che rivelano maggiori fragilità, sempre più difficoltà al Meridione nel garantire condizioni di equità».
«Lo affermiamo da tempo: occorre puntare su una scuola che riveda profondamente i suoi paradigmi metodologici e valutativi. Solo ragionando in chiave formativa e dando piena attuazione a quella personalizzazione dei percorsi, ordinamentalmente prevista, indispensabile a garantire il successo formativo di ogni studente si potrà determinare un cambio di passo. Gli alunni vanno accompagnati, motivati e supportati con strumenti innovativi e rispondenti alle esigenze di un Paese che cambia».
Lo scorso anno, quando i dati non fotografavano certamente una scuola in salute, molti quotidiani indicavano nella dad il male assoluto, l’unica causa di tanto disfacimento della formazione nostrana. Al contrario, pur criticando spesso i limiti della didattica a distanza, su queste pagine sottolineavamo quanto fosse sbagliato addurre tutte le inefficienze del sistema scolastico italiano a un modo diverso di fare o non fare lezione. E stavolta, che il rientro in aula è ormai avvenuto, le prove Invalsi sembrano darci ragione. Perché da tempo – da ben prima dell’arrivo del Covid-19 – la scuola, in Italia, presenta più di una problematica e non solo dal punto di vista strutturale.
Il fallimento delle Invalsi è un fallimento atavico e tutti dobbiamo interrogarci. Nessuno escluso. «Non giungiamo a sorpresa a questi dati. Avevamo già forti evidenze di differenze e disuguaglianze sia tra il Nord e il Sud, sia nei territori tra aree metropolitane e aree interne» commentava all’epoca il Ministro Bianchi. In tutte le regioni, infatti, gli studenti che registravano la maggiore perdita di competenze erano quelli provenienti da contesti economici e culturali più svantaggiati. Addirittura, si riscontrava un divario tra ragazzi e ragazze, con le seconde che avevano perso ancora più terreno dei primi. Tra gli stessi più meritevoli, inoltre, nei contesti cosiddetti difficili erano tanti coloro che erano rimasti indietro. Complice – in quel caso davvero – la possibilità di accedere alla dad e agli strumenti necessari per seguire le lezioni e apprendere al meglio.
Insomma, l’emergenza aveva lasciato indietro i più fragili, ma oggi sappiamo che è l’intero sistema scolastico a farlo, ancora. Con e senza pandemia.
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