Ius Scholae: al via la discussione di un diritto monco
Lo Ius Scholae arriva alla Camera. Il disegno di legge presentato da Giuseppe Brescia del MoVimento 5 Stelle, infatti, ha ottenuto l’approvazione della Commissione Affari Costituzionali e da oggi inizia il suo iter per l’approvazione in Aula.
Nel testo approvato si legge:
Il minore straniero nato in Italia o che vi ha fatto ingresso entro il compimento dei 12 anni e che abbia frequentato regolarmente per almeno cinque anni uno o più cicli scolastici acquista la cittadinanza italiana. Nel caso in cui la frequenza riguardi la scuola primaria, è altresì necessaria la conclusione positiva del corso.
Si tratta, per i più scettici, di una riformulazione della proposta avanzata nel 2015, quando addirittura non si era riusciti a portare avanti la votazione a causa del mancato raggiungimento del numero legale dei presenti in Senato, dopo l’approvazione alla Camera. All’epoca, il M5S si era dapprima astenuto e poi assentato in blocco. Ma, stavolta, il dl in discussione rimanda a quel documento nella sola parte riferita al cosiddetto Ius Culturae, escludendo il più ambizioso Ius Soli, che già tanta polemica aveva suscitato e che comunque non soddisfaceva fino in fondo perché non assoluto.
L’approvazione in Commissione è arrivata dopo un duro confronto, che ha visto la maggioranza spaccarsi e la Lega votare con l’opposizione di Fratelli di Italia. Decisivo, invece, è stato finora il parere favorevole di Forza Italia, che ha aperto a un consenso più ampio e trasversale e, dunque, alla speranza che il testo possa diventare effettivo già nei prossimi tempi. Certo, i precedenti insegnano che in politica e in campo di diritti civili non bisogna mai dare nulla per scontato – pensiamo al Ddl Zan e al suo conseguente affossamento – tuttavia vogliamo guardare a quello che è un debole passo in avanti con fiducia e augurarci che il milione di ragazzi in attesa di questa legge possa, finalmente, trovare riconosciuto il proprio diritto.
Basterà una dichiarazione di volontà, entro il compimento della maggiore età dell’interessato, da parte di un genitore legalmente residente in Italia o da chi esercita la responsabilità genitoriale, all’ufficiale dello stato civile del Comune di residenza del minore, si legge ancora nel testo. Entro due anni dal raggiungimento della maggiore età, l’interessato può rinunciare alla cittadinanza italiana se in possesso di altra cittadinanza.
In assenza della dichiarazione di volontà, il minore acquista la cittadinanza se ne fa richiesta all’ufficiale dello stato civile entro due anni dal raggiungimento della maggiore età.
Il requisito della minore età si considera riferito al momento della presentazione dell’istanza o della richiesta da parte di uno dei genitori o di chi esercita la responsabilità genitoriale. Gli ufficiali di anagrafe sono tenuti a comunicare ai residenti di cittadinanza straniera, nei sei mesi precedenti il compimento del diciottesimo anno di età, nella sede di residenza quale risulta all’ufficio, la facoltà di acquisto del diritto di cittadinanza con indicazione dei relativi presupposti e delle modalità di acquisto. L’inadempimento di tale obbligo di informazione sospende i termini di decadenza per la dichiarazione di elezione della cittadinanza.
Per la prima volta, dunque, viene riconosciuto – in ottica di affermazione di un diritto – il ruolo centrale della scuola, non soltanto come mero centro nozionistico, ma anche luogo di formazione e crescita personale e di cittadinanza attiva. Di costruzione di un presente e di un futuro decisamente migliori, proiettati verso una società capace di intercettare, finalmente, le istanze di tutti. E in un momento di grande trasformazione del sistema scolastico – pensiamo alla riforma voluta dal Ministro Bianchi attesa già nelle prossime settimane in Gazzetta Ufficiale, nonostante le tante (troppe) criticità – può infondere una fiducia diversa o, quantomeno, una flebile volontà di migliorare le cose.
Pensiamo che solo nell’anno scolastico 2019/2020, le scuole italiane hanno accolto un totale di 8.5 milioni di studenti. Tra questi, circa 877mila non hanno la cittadinanza italiana, vale a dire il 10.3% del numero complessivo. Senza guardare alla scuola dell’infanzia, circa 710mila frequentano la primaria e la secondaria di primo e secondo grado. Dal 2015 al 2020, inoltre, il numero degli studenti considerati stranieri ma nati in Italia ha raggiunto quota 574mila unità, con un incremento del 20%. I numeri, dunque, parlano chiaro sulla necessità di cambiare la legge. Seppur soltanto in parte.
La discussione è prevista nel pomeriggio di oggi, mercoledì 29, e si prospetta bollente. Per il dl sullo Ius Scholae, infatti, la Lega ha presentato ben 484 emendamenti che vanno ad aggiungersi ai 167 di FdI e a pochi altri del centrosinistra e di Forza Italia. Il centrodestra, in particolare, è al momento spaccato ma potrebbe ricompattarsi (come già successo) e affossare anche questo provvedimento.
Come dicevamo, lo Ius Scholae sarebbe soltanto una piccolissima conquista nel campo dei diritti civili, una parte percentuale di quella che dovrebbe essere la reale riforma del sistema di cittadinanza, rimasto sostanzialmente inalterato dal 1992, e legato allo Ius Sanguinis: in questo senso, se non si è figli di italiani, non si potrà mai essere considerati tali pur essendo nati in Italia, tranne nel caso in cui, seppur nati da stranieri, non si sia risieduti nel Paese fino al diciottesimo anno di età, ininterrottamente e legalmente.
Se il bambino non nasce da almeno un genitore italiano, non potrà essere considerato italiano, pur essendo nato in Italia, a meno che, sebbene figlio di stranieri, non abbia risieduto fino al 18esimo anno di età ininterrottamente e legalmente in Italia. Condizioni difficili da soddisfare, soprattutto perché si finisce per collegare necessariamente la cittadinanza di coloro che nascono nello Stivale alla stabilità della permanenza dei genitori, non sempre così scontata per diverse questioni legali, magari legate al permesso di soggiorno, e non.
Già a marzo scorso, Giuseppe Brescia aveva dichiarato di voler essere conciliante e cercare il più largo consenso possibile, ascoltando tutte le parti politiche che hanno presentato emendamenti alla ricerca di un punto di incontro. Motivo per cui – ha spiegato, poi – si è scelto di eliminare del tutto lo Ius Soli e formulare un testo più “accomodante”. Per quanto suoni difficile trovare un punto di incontro con chi nega al prossimo la possibilità di essere e scegliere, sappiamo bene che, dovesse passare, lo Ius Scholae sarà comunque un compromesso al ribasso, tuttavia da insegnanti, operatori culturali, formatori di coscienze, il nostro invito, sempre, è che la scuola possa anticipare il dibattito e favorire, sin da subito, una discussione che in Aula va trasformata in diritto acquisito.
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