Rinnovo del contratto: no a pochi spiccioli
50 euro. Forse, qualche spicciolo in più. È questo l’aumento che alcune indiscrezioni vedono possibile nelle tasche degli insegnanti. Nessuna cifra tripla, nessuna rivoluzione, la solita presa in giro per placare animi ormai arresisi all’indifferenza. Il nuovo incontro nell’ambito della trattativa di rinnovo del contratto tra sindacati e governo è previsto per martedì 28 giugno, tuttavia nulla di buono pare prospettarsi all’orizzonte di una scuola che non si vuole cambiare.
Come sappiamo, il contratto è scaduto da oltre tre anni. Già nel marzo 2018 le sigle sindacali avevano firmato un aumento – se così lo si vuol chiamare – pari a 85 euro lordi mensili, dopo quasi un decennio di stasi contrattuale. Un incremento che non era piaciuto agli insegnanti che, come dimostrano i dati, in dodici anni hanno perso il 16% circa di potere di acquisto, una riduzione che ha modificato (e tanto) l’appeal dello status di lavoratore della scuola. A novembre 2021, quindi, era partita una petizione online finalizzata a un adeguamento di stipendio di almeno 200 euro netti mensili a invarianza degli oneri contrattuali seguita da una movimentazione di piazza fissata a dicembre. Per l’occasione, tuttavia, non c’era stata grande risposta, con appena il 6% del personale scolastico partecipante, vale a dire meno di 90mila lavoratori su 1 milione 400mila dipendenti dell’istruzione, tra docenti e personale ATA. Una percentuale sin troppo bassa per avanzare delle pretese compatte e far ascoltare la propria voce a piani alti già normalmente disinteressati al dialogo.
Le proteste avevano riguardato, in particolare, i fondi previsti nella Manovra di Bilancio per il settore istruzione: solo lo 0.62% di questi, infatti, era destinato alla professione docente, per pochi e a premio, con ulteriori 12 euro (in aggiunta agli 87) legati alla dedizione. Stavolta, invece, si parla di un riconoscimento salariale del 3.8% che, tradotto, sta per 90 euro lordi, vale a dire 50 euro netti in busta paga. Per ciò che concerne gli arretrati, invece, verrebbe ricompreso nell’aumento il cosiddetto elemento perequativo da 11.50 euro medi previsto dal CCNL 2016-2018.
Ben diverso è stato, in cambio, lo sciopero del 30 maggio scorso, quando in piazza è sceso il 17.53% del personale scolastico a dichiarare il proprio no al Decreto 36 ancora in discussione. La Riforma Bianchi – che, ovviamente, riguarderà anche questioni economiche – non piace agli addetti ai lavori, tuttavia nemmeno stavolta ci si aspetta che qualcuno, a palazzo, possa ascoltare.
Piuttosto interessante, in previsione dell’appuntamento di martedì, è invece la proposta – tardiva – di contrattualizzare la didattica a distanza, nel tentativo di normare il tempo di lavoro e il diritto alla disconnessione che troppo è mancato in questi anni pandemici che chissà se sono finiti.
Qualche novità dovrebbe riguardare, poi, i coordinatori di classe e di dipartimento, nonché i tutor dei neoassunti, sempre che non ci siano ulteriori aggravi per le casse dello Stato. Per il personale ATA, invece, si parla della contrattualizzazione del lavoro agile che potrà essere alternato a quello in presenza. Nel contratto dovranno essere definite le modalità in cui ciò potrà avvenire, disciplinando, in particolare, i diritti e le relazioni sindacali, a formazione specifica, la predisposizione e l’utilizzo dei dispositivi, la salute e la sicurezza, il tempo di lavoro e di reperibilità, il diritto alla disconnessione e i rientri.
I possibili aumenti – per quanto irrisori – sembrano, a oggi, comunque lontani, probabilmente in arrivo in autunno, sempre che i sindacati cedano alla proposta governativa che, sicuramente, non soddisferà i dipendenti della scuola e per la quale anche noi crediamo si debba continuare a lottare affinché non suoni come una mancia, ma come un vero riconoscimento professionale e personale di chi dedica la propria vita alla formazione altrui, quindi della società. Basti pensare, infatti, che i dipendenti della scuola sono i meno pagati della Pubblica Amministrazione, un divario che si quantifica in circa 28mila euro l’anno contro una media di 33mila.
I lavoratori dell’istruzione scolastica, infatti, guadagnano 343 euro lordi in meno dei loro colleghi statali. E questo non è più accettabile. Secondo i dati OCSE, inoltre, le retribuzioni dei docenti italiani sono tra le più basse in UE. Le differenze di stipendio, si evince dal report, interessano tutti gli ordini e gradi scolastici e si attestano tra il 13 e il 15%. Ma non ci risulta che qui, da noi, si lavori meno o si lavori peggio. Pretendere di più, però, non sembra ancora una priorità.
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