Riforma scuola: rivoluzione o ennesimo buco nell’acqua?
Era già stata approvata dal Consiglio dei Ministri lo scorso 21 aprile, ora è anche in Gazzetta Ufficiale: parliamo della riforma del reclutamento e della formazione dei docenti italiani, un tema spinoso per natura che, anche questa volta, non farà contente (tutte) le parti in causa.
Nello specifico, nel testo si definiscono le modalità di formazione iniziale, abilitazione e accesso all’insegnamento nella scuola secondaria così ripartite:
– un percorso universitario abilitante di formazione iniziale (per almeno 60 crediti formativi) con annessa prova finale;
– un concorso pubblico nazionale con cadenza annuale;
– un periodo di prova in servizio di un anno con valutazione conclusiva.
Il percorso di formazione abilitante potrà essere svolto sia dopo la laurea sia durante il percorso formativo in aggiunta ai crediti necessari per il conseguimento del titolo e prevede un tirocinio nelle scuole. La prova finale, invece, consiste anche in una lezione simulata per comprovare le capacità di insegnamento – basterà? – e, ovviamente, le conoscenze dei contenuti disciplinari.
Ottenuta l’abilitazione, sarà dunque possibile accedere ai concorsi, che diventeranno di cadenza annuale. A questo punto, i vincitori saranno assunti per un periodo di prova, della durata di un anno, che terminerà con una valutazione che attesterà le competenze didattiche acquisite. L’esito positivo garantirà, finalmente, l’immissione in ruolo.
Nel frattempo, in attesa che questo nuovo sistema si concretizzi, chi insegna da almeno tre anni nella scuola statale può partecipare direttamente ai concorsi. Alla vittoria dovrà conseguire 30 crediti universitari e svolgere la prova di abilitazione. Chi, invece, non ha già svolto i tre anni di docenza, può conseguire comunque i crediti – compresivi del periodo di tirocinio – che andranno poi a sommarsi agli altri 30 per sostenere la prova di abilitazione.
Gli articoli che più interessano gli addetti ai lavori – e che più andranno a rivoluzionare il mondo della scuola – sono il 44, il 45, il 46 e il 47. Il primo, il 44, denominato Formazione iniziale e continua dei docenti delle scuole secondarie consiste in un duplice aggiornamento, di cui una parte obbligatoria e non remunerata e un’altra a discrezione del singolo che prevede, invece, degli incentivi dal 2027 in cambio di 15-30 ore annue in più (nonostante, inizialmente, si fosse parlato di scatti in busta paga a regime).
L’articolo 45 prevede la Valorizzazione del personale docente, il 46 il Perfezionamento della semplificazione della procedura di reclutamento degli insegnanti con nuove modalità di accesso concorsuali alla professione (e nuovi CFU) e il 47 è incentrato sulle Misure per l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza di cui – in questo caso – è titolare il Ministero dell’Istruzione.
La formazione in servizio, oltre a essere continua, sarà strutturata in modo da favorire l’innovazione dei modelli didattici sulla falsariga di quanto accaduto – con molte, moltissime, difficoltà – nel bel mezzo della crisi pandemica: fondamentali, infatti, diverranno le competenze digitali. L’uso critico e responsabile degli strumenti digitali rientrerà nelle nozioni da apprendere nel percorso di formazione già obbligatoria per tutti che si svolgerà nel corso dell’orario lavorativo.
Su base triennale sarà, invece, il nuovo sistema di aggiornamento e formazione che consentirà di acquisire conoscenze e competenze per progettare la didattica con strumenti e metodi innovativi. Questo aggiornamento sarà svolto al di là dell’orario e potrà essere retribuito dalle scuole se comporterà un ampliamento dell’offerta formativa. I percorsi svolti saranno anche valutati con la possibilità di accedere, in caso di esito positivo, a un incentivo salariale forfettario. L’accesso a tali percorsi di formazione avverrà su base volontaria, mentre sarà obbligatorio per i docenti immessi in ruolo in seguito all’adeguamento del contratto ai sensi del comma 9 e in ogni caso non prima dell’anno scolastico 2023/2024.
Al fine di incentivarne l’accesso – si legge nel documento – è previsto un meccanismo di incentivazione salariale per tutti gli insegnanti di ogni ordine e grado del sistema scolastico. Tuttavia, l’attribuzione dell’incentivo salariale selettivo potrà essere riconosciuta a non più del 50 per cento di coloro che ne abbiano fatto richiesta. Inoltre, questo scatterà solo al superamento di ogni percorso di formazione per una somma che sarà stabilita dalla contrattazione nazionale nei limiti e secondo le modalità previste.
I percorsi di formazione continua saranno definiti dalla Scuola di alta formazione, istituita con la riforma in oggetto, che si occuperà delle linee di indirizzo in materia e di accreditare e verificare le strutture che dovranno erogare i corsi per garantirne la massima qualità. La Scuola si occuperà anche dei percorsi di formazione di dirigenti e personale ausiliario, tecnico e amministrativo (ATA).
Il decreto stanzia un apposito fondo che servirà a riconoscere ai docenti l’incentivo alla formazione:
– 20 milioni di euro nel 2026;
– 85 milioni di euro nel 2027;
– 160 milioni di euro nel 2028;
– 236 milioni di euro nel 2029;
– 311 milioni di euro nel 2030;
– 387 milioni di euro dal 2031.
Stando a quanto si legge, l’indennità una tantum è corrisposta nel limite di spesa di cui al primo periodo, nell’anno di conseguimento della valutazione individuale positiva. Agli oneri derivanti dall’attuazione del presente comma si provvede mediante razionalizzazione dell’organico di diritto effettuata a partire dall’anno scolastico 2026/2027. Il taglio potrà dunque riguardare le immissioni in ruolo, i trasferimenti dei docenti di ruolo, le assegnazioni provvisorie e, anche, le supplenze al 31 agosto (9.600 posti in meno).
Come previsto dalla normativa vigente, ora il Parlamento avrà due mesi per convertire il decreto in legge e apportare eventuali modifiche. Eppure, sin dal suo inserimento in Gazzetta di appena pochi giorni fa, il documento sta già facendo molto discutere.
Potenziare le competenze dei docenti è il leitmotiv di questa piccola rivoluzione, insistono da Viale Trastevere e, sebbene a priori risulti difficile dare un giudizio che possa effettivamente trovare riscontro nella realtà, ciò che per ora suona evidente è la farraginosità di questo percorso, anziché lo snellimento della già poco oliata macchina burocratica, nonché la difficile reperibilità dei fondi da destinare e il rischio che si vada a tagliare – ancora – dove non si dovrebbe.
A chi accusa il MI, il Ministro Bianchi risponde che non toglie risorse economiche al personale: «Dobbiamo coprire da qui al 2032 e noi abbiamo fatto un’operazione importantissima nonostante una caduta demografica notevolissima. La caduta demografica è il vero problema del nostro Paese. […] Tutte le risorse che da qui al 2026 sono legate alla minore natalità rimangono nella scuola, cioè manteniamo il numero degli insegnanti per diminuire la numerosità delle classi. Dal 2026/27 in avanti, tutte le risorse che salteranno fuori dalla denatalità resteranno nel settore scuola».
Saranno poi da chiarire e discutere – e speriamo di poterlo fare già al più presto – i criteri di valutazione delle capacità di insegnamento e competenza, nonché di costituzione della Scuola di alta formazione. Senza nessun processo alle intenzioni, ci auguriamo – per una volta – che davvero si possa parlare di rivoluzione e non di ennesima riforma sbagliata a cui porre subito rimedio. Difficile credere che non sarà così.
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