Lavoratori fragili e smart working: chi sono e cosa spetta loro
Lavoro agile o remoto, telelavoro, smart working: comunque lo si voglia chiamare, per il Ministro della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta, non è altro che fare finta di lavorare. Eppure, negli ultimi due anni, è stata proprio la possibilità di lavorare da casa a consentire a molte aziende di non chiudere, al Paese di andare avanti, alla scuola di garantire una qualche forma di didattica.
La pandemia, infatti, ha costretto anche l’Italia ad accelerare il processo di digitalizzazione del lavoro che, in altri momenti, avrebbe necessitato di un periodo ben più ampio per affermarsi. Eppure – al contrario di quanto sostiene il Ministro – i benefici, per i dipendenti, non si sono rivelati tali da giustificare una simile, offensiva, presa di posizione.
Gli ambiti di riferimento sono molteplici: innanzitutto, la gestione del tempo che non ha significato una maggiore conciliazione tra sfera lavorativa e sfera familiare, piuttosto una mescolanza tra le due e un netto aumento del carico di lavoro. Il risparmio dei tempi di spostamento tra casa e ufficio, infatti, è diventato la scusa per chiedere ai lavoratori qualche ora in più, essendo tempo che avrebbero perso in ogni caso. Stesso discorso per il risparmio economico che è stato sostituito dalle utenze, normalmente messe a disposizione dal datore di lavoro, che con lo smart working sono ricadute inevitabilmente sul bilancio familiare, insieme a tutte le spese accessorie indispensabili per l’acquisto di strumenti digitali adatti e varie ed eventuali.
Anche dal punto di vista psicologico le cose non sono andate meglio: i benefici teorici si sono fatti presto svantaggi, finendo con l’incapacità di tenere separate la vita privata e quella professionale. Non si è trattato soltanto dell’impossibilità di separare gli spazi fisici – che pure rappresenta un problema di non scarsa rilevanza – ma anche e soprattutto la fine dei confini tra il lavoro e tutto il resto, che sono andati sbiadendosi man mano che la professione ha iniziato a permeare ogni aspetto della quotidianità: chiamate a tutte le ore, condivisione di molti dei propri dati sensibili per comunicare con i colleghi, i datori di lavoro, gli studenti e i loro genitori – nel caso della scuola – e, paradosso per un mondo iperconnesso, fine delle interazioni sociali.
Se il discorso vale per tutti i lavoratori, non sono esenti da queste considerazioni nemmeno i dipendenti della scuola. Anzi, a loro – più di tanti altri – sono stati chiesti sacrifici maggiori senza nemmeno un grazie di facciata. A tal proposito, per fortuna, le cose sono andate leggermente meglio, con le lezioni che per la maggiore sono tornate in presenza, nonostante i dati discordanti tra Ministero e realtà concreta. A lavorare da casa, tuttavia, sono rimasti ancora in tanti e sono – al di là di quelli momentaneamente a distanza causa Covid – i cosiddetti lavoratori fragili.
Per loro, il decreto interministeriale del 3 febbraio scorso ha disposto l’individuazione delle patologie croniche con scarso compenso clinico e con particolare connotazione di gravità ai sensi del comma 2 dell’articolo 17, del decreto legge 24 dicembre 2021 n.221 in presenza delle quali, fino al 28 febbraio 2022, la prestazione lavorativa è normalmente svolta, secondo la disciplina definita nei contratti collettivi, ove presente, in modalità agile, anche attraverso l’adibizione a diversa mansione ricompresa nella medesima categoria o area di inquadramento, come definite dai contratti vigenti, e specifiche attività di formazione professionale sono svolte da remoto.
A certificare le condizioni di salute che rendono rischiosa l’attività lavorativa in presenza è il medico di famiglia che, stando al decreto, individua due casistiche specifiche:
- condizione di fragilità indipendente dallo stato vaccinale;
- condizione di fragilità in presenza di esenzione dalla vaccinazione per motivi sanitari e almeno una delle condizioni individuate dal decreto.
Indipendentemente dallo stato vaccinale
a.1) i pazienti con marcata compromissione della risposta immunitaria dovuta a:
- trapianto di organo solido in terapia immunosoppressiva;
- trapianto di cellule staminali ematopoietiche (entro due anni dal trapianto o in terapia
- immunosoppressiva per malattia del trapianto contro l’ospite cronica);
- attesa di trapianto d’organo;
- terapie a base di cellule T esprimenti un Recettore Chimerico Antigenico (cellule CAR T);
- patologia oncologica o onco-ematologica in trattamento con farmaci immunosoppressivi,
- mielosoppressivi o a meno di sei mesi dalla sospensione delle cure;
- immunodeficienze primitive;
- immunodeficienza comune variabile;
- immunodeficienze secondarie a trattamento farmacologico;
- dialisi e insufficienza renale cronica grave;
- pregressa splenectomia;
- sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) con conta dei linfociti T CD4+ < 200cellule/µl o sulla base di giudizio clinico.
a.2) pazienti che presentino tre o più delle seguenti condizioni patologiche:
- cardiopatia ischemica;
- fibrillazione atriale;
- scompenso cardiaco;
- ictus;
- diabete mellito;
- bronco-pneumopatia ostruttiva cronica;
- epatite cronica;
- obesità.
b) la contemporanea presenza di esenzione alla vaccinazione per motivi sanitari e almeno una delle seguenti condizioni:
- età > 60 anni;
- condizioni di cui all’Allegato 2 della Circolare della Direzione generale della prevenzione sanitaria del Ministero della Salute n. 45886 dell’8 ottobre 2021.
Il decreto è parte di un emendamento ben più ampio, approvato in Senato, secondo il quale i lavoratori fragili potranno proseguire il lavoro in smart working fino al termine dello stato di emergenza per Covid-19, ovvero fino al 31 marzo 2022. La norma rifinanzia, inoltre, il fondo necessario per equiparare al ricovero ospedaliero l’assenza dal lavoro per rischio legato al Covid di quei dipendenti fragili le cui mansioni non possono essere svolte da casa.
Quest’ultima modifica, in particolare, introduce un’importante novità prorogando, con effetto retroattivo dal 1 gennaio e fino al limite del 31 marzo, anche la possibilità per pazienti oncologici, immunodepressi e disabili adibiti a lavori che non possono essere svolti in smart working di avere riconosciuta l’equiparazione dell’assenza dal lavoro al ricovero ospedaliero. Possibilità che era scaduta il 31 dicembre scorso e che ora è stata rifinanziata con 16.4 milioni di euro per coprire, fino a esaurimento, gli oneri a carico dell’INPS.
Invitiamo, dunque, i soggetti interessati a rivolgersi al dirigente scolastico prima e al proprio medico di base poi per regolarizzare la loro posizione al fine di vedersi riconosciuti dei diritti che, purtroppo, non sono benefici, non è far finta di lavorare ma tutelare la propria salute fisica e mentale. La loro incolumità.
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