Covid a scuola: i dati ministeriali smentiscono le paure, ma sono attendibili?
Ministero contro Regioni, Regioni contro docenti, docenti contro Ministero: è un loop infinito quello che dallo scorso anno si ripete nel dibattito sulla scuola. Comune denominatore è la messa in sicurezza della popolazione scolastica e lo scongiuro, laddove possibile, della didattica a distanza che più di una riflessione ha meritato sul piano nazionale e su queste pagine.
È a questa, alla didattica a distanza, che il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha dedicato un pensiero nella sua audizione in Commissione Cultura alla Camera prevista per mercoledì 19 gennaio: «La dad non è opposizione alla presenza ma la capacità di integrazione attraverso le tecnologie che permettono di sviluppare una didattica partecipativa» ha dichiarato.
Il titolare di Viale Trastevere è passato, poi, ai dati e a una affatto velata polemica con chi, in queste settimane, ha ripetutamente chiesto la chiusura degli istituti scolastici: «A oggi alle 12 il 93.4% delle classi è in presenza. Di questi il 13.1% con attività integrata per singoli studenti a distanza. Le classi totalmente a distanza sono il 6.6%. Lungi da me fare polemiche, però in questi giorni ho sentito proporre stime che non avevano basi numeriche». Il cenno è chiaramente ai dati resi noti dall’Associazione Nazionale Presidi che, nelle ore precedenti, aveva parlato addirittura del 50% delle classi in dad.
«Su un totale di 7362181 studenti, gli alunni in presenza sono l’88.4%. Per l’infanzia gli alunni positivi o in quarantena sono il 9%. Per la primaria il 10.9% e per la secondaria il numero di studenti in dad o in didattica integrata sono il 12.5%», ha proseguito il titolare di Viale Trastevere. «Il personale sospeso per non essere in regola con il vaccino è dello 0.9%. Ciò dimostra l’alto grado di responsabilità dei nostri docenti» a cui – precisiamo noi – va ad aggiungersi il senso di responsabilità di studenti e famiglie che hanno fatto ricorso alla vaccinazione. In questo caso i dati sono forniti dal commissario per l’emergenza Covid Francesco Figliuolo: tra i 12 e i 19 anni la copertura è al 76.5% (almeno due dosi), sotto i 12 anni al 25%.
Già martedì scorso il Ministro non aveva nascosto il suo disappunto quando, commentando l’allarmismo dell’ANP, aveva dichiarato di nutrire «grandissimo rispetto per tutti coloro che fanno delle stime, però i dati li diamo noi». E ora che li ha comunicati sicuramente la sua “battaglia” ai detrattori si farà ancora più serrata. Non a caso, neanche stavolta si è lasciato sfuggire l’occasione per mandare una frecciatina ai De Luca di Italia: «È giusto che il Ministero abbia un potere di indirizzo». Il riferimento, anche qui, è a quanto accaduto proprio negli ultimi giorni con il Tar che ha bocciato la scelta di alcune Regioni, come la Campania, e di altrettanti Comuni che dopo la pausa natalizia avevano optato per la didattica a distanza.
Come sappiamo, nel caso della terra del Vesuvio, Vincenzo De Luca è, da sempre, uno dei principali sostenitori della chiusura delle scuole. La versione ufficiale è, ovviamente, la tutela della popolazione scolastica ma, a ben vedere – e senza nemmeno sforzarsi troppo –, il tanto zelo del Presidente è più da addebitare alle molte negligenze che la sua gestione della cosa pubblica regionale ha significato in termini di sicurezza, edilizia scolastica, sanità e trasporti – nonché alla più classica delle propagande, da lui già ampiamente sperimentata lo scorso anno quando il Ministero apriva le scuole e De Luca le chiudeva e viceversa – anziché alla reale preoccupazione per i propri conterranei. Un modo, il suo, per spostare l’attenzione su altri possibili colpevoli. Esattamente ciò che sta accadendo ora e, tanto per cambiare, a Santa Lucia quanto a Viale Trastevere.
All’alba del rientro in aula, il Presidente della Regione Campania aveva chiesto il rinvio delle lezioni al fine di rallentare il picco di contagio e sviluppare una più vasta campagna di vaccinazione per la popolazione studentesca. Non contento, aveva chiuso materne, elementari e medie. Palazzo Chigi, però, aveva impugnato l’ordinanza, portando allo scontro istituzionale e all’immediata riapertura degli istituti. Una mossa che il Governatore aveva definito irrispettosa e offensiva.
Il Governo ha impugnato l’ordinanza della Regione Campania alle 22.15 di domenica sera, le scuole si aprivano il lunedì. In questo momento abbiamo in Campania 111 Comuni nei quali non si sono riaperte le scuole, abbiamo Comuni e Regioni che hanno prorogato l’apertura dell’anno scolastico, come la Sicilia, abbiamo Palermo e Catania nei quali i sindaci hanno fatto ordinanze non di limitazione per le elementari, ma di chiusura totale. Il Governo nazionale non ha impegnato nulla, a conferma del fatto che aveva interesse a fare solo un’operazione propagandistica lunedì per poter dire che è tutto aperto. La mia sensazione netta è che l’unico obiettivo, quello sostanziale, fosse quello di dimostrare ai cittadini italiani che in Italia va tutto bene. L’economia è aperta, cresce, le scuole si aprono, non abbiamo grandissime problematiche relative al Covid. L’obiettivo era semplicemente questo e, dal mio punto di vista, è stata una scelta totalmente demagogica e inaccettabile.
Al comunicato stampa era seguito un altro messaggio: I dati rilevati dalle nostre Aziende Sanitarie sui positivi registrati in età scolastica nella settimana 11-17 gennaio 2022 ammontano a 25745. I contagi riguardano le seguenti fasce di età: 0-5 anni: 7442; 6-10 anni: 10881; 11-13 anni: 7422. Totale 0-13 anni: 25745. Ritengo opportuno inviare questi dati al Ministero della Salute, e, per sua opportuna conoscenza, al Ministro dell’Istruzione Bianchi. I destinatari, tuttavia, avevano proseguito per la loro strada. E oggi, ad avallarne le scelte, pensano i dati in apertura che – come accennavamo – smentiscono gli allarmismi. Ma solo a una lettura sommaria.
Se i numeri resi noti in Commissione Cultura raccontano di una situazione più o meno sotto controllo, ben diverso è quanto ogni giorno, dalle aule, lamentano i docenti e il personale tutto: sprovvisti di mascherine – solo ora, pare, il commissario Figliuolo sta provvedendo all’invio dei dispositivi di sicurezza ma soltanto per alcune categorie di lavoratori –, con le segreterie in affanno tra richieste di didattica a distanza, green pass, positività e/o negatività da registrare, programmi da interrompere o rimodulare a causa dei tanti assenti, molteplici classi scoperte in carenza di insegnanti costretti a casa e molto altro.
È sufficiente un breve sondaggio, infatti, per comprendere che non è tutto sotto controllo e che, forse, De Luca – che in materia è un esperto – non ha poi tanto torto quando parla di operazione demagogica. Sono tantissimi gli istituti in cui un’alta percentuale di alunni non è ancora rientrata o lo ha fatto per pochi giorni: i motivi sono svariati e vanno dalla loro positività al Covid a quella di un familiare, alla paura di frequentare e così via. Come se non bastasse, le nuove regole su rientro e quarantena, con le differenze di azione tra i diversi gradi scolastici, hanno allargato la tolleranza ai casi di coronavirus e negato la didattica a distanza, ridotta a un ventaglio di possibilità eccessivamente stretto.
Vien da sé che i dati ufficiali parlino di un’altissima percentuale di scuole aperte e/o di classi affollate: ma da chi? Per quanto? In quale conteggio rientrano coloro che non sono in dad – perché non ammessi – ma sono comunque a casa perché impossibilitati a frequentare? Come si passa dal 50% denunciato dai presidi di tutta Italia a poco più del 6% di cui si vanta il Ministro Bianchi? I dati sono numeri, certo, ma bisogna saperli interpretare, altrimenti restano soltanto cifre atte a riempire una casella. Però, nessuna tabella – politica, soprattutto – può riassumere le mille sfaccettature del mondo reale, di chi studia, lavora e rischia.
Insomma, i numeri sembrano raccontare una realtà fin troppo semplice, diversa da quella che ogni mattina avverte chi percorre i corridoi degli istituti, tra preoccupazioni, ansia e insicurezza. E dinanzi a una tale discrepanza non si può restare inermi e dirsi che va tutto bene. Perché non è così. Perché i dati raccontano un momento, il quotidiano racconta ciò che è e, soprattutto, ciò che non dovrebbe essere. Vale a dire la scuola per come non merita di essere trattata.
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