Concorso scuola: Brunetta sconvolge equilibri già precari
La scuola torna a tremare. Stavolta, scongiurato il pericolo Azzolina, al centro della polemica un volto affatto nuovo alla politica e al mondo dell’istruzione: Renato Brunetta. A firma del neo Ministro della Pubblica Amministrazione, infatti, è il Decreto Legge 44 approvato il primo aprile scorso. Il dl si propone di accelerare e semplificare le procedure di reclutamento.
Nello specifico, a fare rumore è l’articolo 10, vale a dire quello che prevede concorsi basati su una sola prova scritta e una orale cancellando le preselettive. Nel testo si parla, infatti, di una fase di valutazione dei titoli legalmente riconosciuti ai fini dell’ammissione alle successive fasi concorsuali, aggiungendo inoltre che i titoli e l’eventuale esperienza professionale, inclusi i titoli di servizio, possono concorrere alla formazione del punteggio finale. Una vera rivoluzione, dunque.
Come sappiamo, le procedure introdotte dall’ex Ministro Azzolina prevedevano dei test preventivi che riducessero il numero di partecipanti ai bandi. Oggi, invece, la valutazione potrebbe basarsi su anni di insegnamento, diplomi, lauree o master. Una scelta che, in particolare, allarma i più giovani. Sono loro, infatti, i giovani con poco curriculum, i neolaureati o quanti con risorse economiche tali da non consentire l’acquisizione di titoli, che finirebbero per essere inevitabilmente penalizzati rispetto ai precari storici che, in cambio, potrebbero far valere la propria esperienza pregressa.
Le date del concorso, al momento, non sono ancora state annunciate tuttavia, stando al decreto e COVID permettendo, il calendario potrebbe partire il prossimo 3 maggio. La procedura coinvolge un grosso numero di aspiranti: le domande di partecipazione per infanzia e primaria superano quota 76mila. Più di 430mila, invece, sono le istanze per la secondaria di I e II grado. I posti a disposizione decisamente molti meno: secondo i dati del Dipartimento della Funzione Pubblica, circa 91mila, tra quelli messi a bando o da bandire.
Le istanze sono state presentate a luglio scorso: sembra incredibile, dunque, pensare che le prove, non ancora avviate, possano scoprirsi indirizzate a un numero nettamente inferiore di futuri docenti perché il regolamento rischia di subire una modifica importante. Se il Decreto Brunetta dovesse essere applicato alla scuola, infatti, andrebbe a modificare bandi già approvati e applicati da tempo. E non sarebbe corretto.
Certo, la politica di casa nostra ha già abbondantemente dimostrato disinteresse e mancanza di ascolto nei confronti dei bisogni della cittadinanza, tuttavia suona piuttosto irrispettoso cambiare le carte in tavola a gioco avviato. Che ne sarà dei tanti che hanno trascorso questi mesi a prepararsi per un concorso cui, probabilmente, non potranno partecipare? È giusto utilizzare i titoli e i servizi al fine di una selezione anziché concedere a tutti il diritto a misurare le proprie competenze, conoscenze e capacità formative? Il dubbio sta tutto qui e apre alla possibilità di molteplici ricorsi.
Le nuove norme dovrebbero riguardare i concorsi per i quali ancora non ci sono i bandi. Eppure, le perplessità ruotano intorno all’interpretazione del passaggio che così recita: Le medesime amministrazioni, qualora non sia stata svolta alcuna attività, possono prevedere la fase di valutazione dei titoli di cui al comma 1, lettera c), dandone tempestiva comunicazione ai partecipanti nelle medesime forme di pubblicità adottate per il bando e riaprendo i termini di partecipazione. Il rischio che la finestra utile per presentare domanda possa riaprirsi è, dunque, più che un lontano presentimento. A possibile conferma, il sito del Ministero della Pubblica Amministrazione: per i concorsi già banditi per i quali non sia stata svolta alcuna prova, le amministrazioni possono prevedere una fase di valutazione dei titoli e, facoltativamente, anche delle esperienze professionali per l’ammissione alle successive fasi, fermo restando che il punteggio attribuito per i titoli concorrerà alla formazione del punteggio finale.
I sindacati, al momento, pare non siano ancora stati consultati. Risultano, tuttavia, già molto divisi sulla questione. Una pluralità di punti di vista che rischia, come al solito, di danneggiare chi invece avrebbe bisogno di una voce capace di rappresentare all’unisono le proprie rimostranze. Divisa è anche la maggioranza: da una parte – ovviamente – il MoVimento 5 Stelle, compatto nel dire no; dall’altra, PD e Forza Italia, già contrari, ai tempi, alle procedure adottate da Lucia Azzolina. Ancora più radicale, invece, la posizione della Lega che ha avanzato un disegno di legge, a firma del vicepresidente della Commissione Cultura del Senato Mario Pittoni, che vorrebbe in ruolo coloro che hanno svolto 36 mesi di servizio con eventuale abilitazione da prendere nell’anno di prova. Un’altra crepa, dunque, divide e destabilizza un governo nato sicuramente non con una visione comune del presente e del futuro del Paese.
Ad ogni modo, se Patrizio Bianchi confermerà tali modalità anche per la scuola, l’obiettivo sarà concludere i concorsi in tre, quattro mesi al fine di arrivare al nuovo anno ad assunzioni fatte. Un arco di tempo davvero ristretto. Intanto, mentre c’è chi afferma che le preselettive non saranno effettuate e chi afferma, invece, che avranno luogo, il Ministero dell’Istruzione persiste nel suo silenzio. Le prossime settimane saranno decisive, fondamentali – si spera – per avere, finalmente (e dopo un anno!), qualche notizia certa. Per adesso, l’unica certezza è la solita politica indifferente.
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