CTS: sì alle superiori in presenza. Che succede adesso?
Le scuole superiori possono tornare in presenza. A dare parere favorevole è stato, nella mattinata di domenica, il Comitato Tecnico Scientifico, convocato in riunione urgente dal Ministro della Salute Roberto Speranza e da quello degli Affari Regionali Francesco Boccia.
Come previsto nel DPCM del 14 gennaio e a partire da lunedì 18, dunque, gli studenti di licei e istituti professionali possono rientrare in aula nella misura del 50% e fino a un massimo del 75%. Da questa settimana, quindi, a Valle d’Aosta, Toscana, Trentino e Abruzzo – già in presenza – andranno ad aggiungersi Lazio, Emilia-Romagna, Molise e Piemonte. Circa 642mila alunni per un totale di 800mila studenti. Particolare, in tal senso, è il caso della regione guidata da Stefano Bonaccini dove, lo scorso venerdì, il TAR ha sospeso l’ordinanza dell’8 gennaio che stabiliva, per gli allievi delle scuole superiori, il ricorso esclusivo alla didattica a distanza fino al prossimo 23. Per il tribunale, infatti, il documento avrebbe limitato, in maniera eccessiva, immotivatamente e ingiustificatamente, il diritto degli adolescenti a frequentare di persona la scuola quale luogo di istruzione e apprendimento culturale, nonché di socializzazione, formazione e sviluppo della personalità.
Episodio simile era accaduto, soltanto pochi giorni prima, in Lombardia, dove mercoledì 13 il Tribunale Amministrativo Regionale, ritenendo irragionevoli le motivazioni presentate dal Pirellone, aveva accolto un altro ricorso, presentato dal comitato A Scuola!, contro l’ordinanza tesa a prolungare la dad fino al 24 gennaio. Con la nuova proclamazione di zona rossa, però, gli istituti resteranno ancora chiusi, così come in Sicilia, dove l’andamento della curva epidemiologica impedisce tuttora la riapertura dei cancelli. A tal proposito, Nello Musumeci ha chiarito che se i dati dei prossimi quindici giorni non saranno confortanti, serrerà anche le scuole primarie e le prime classi della media.
Intanto, disposizioni diverse persistono negli altri territori, almeno fino al momento in cui scriviamo. Per Umbria e Puglia, ad esempio, il ritorno in aula continua a essere previsto per il 23 gennaio. In Liguria e Campania per lunedì 25, mentre in Friuli Venezia Giulia, Veneto, Marche, Basilicata e Calabria l’attività didattica delle scuole secondarie di secondo grado verrà svolta in dad fino al 31 gennaio. In Sardegna, gli studenti delle superiori non rientreranno in classe prima del 1 febbraio. Più complessa, al momento, la situazione della provincia autonoma di Bolzano: nonostante sia appena rientrata in zona rossa, infatti, Kompatscher non vuole proprio saperne, con le lezioni che continueranno ancora in presenza. Inoltre, sempre per volontà della giunta locale, il territorio resterà giallo a prescindere dalle indicazioni governative.
In Alto Adige e nel resto del Paese, comunque, tra ordinanze regionali, ricorsi al TAR e proteste, tutto resta sempre in un insopportabile forse, con le notizie che possono essere smentite già pochi minuti dopo la loro diffusione, scatenando panico e confusione tra insegnanti e famiglie interessate. A tal proposito, è stato lo stesso CTS a fare la voce grossa ribadendo non solo l’importanza della ripresa della scuola in presenza – ferma restando l’attenzione alla curva dei contagi –, ma anche lanciando un messaggio ai governatori di tutta Italia. Se qualche Presidente si ostinerà a tenere gli istituti chiusi – dicono gli esperti – se ne assumerà la responsabilità.
Il comitato ha sottolineato, infatti, che stanno emergendo problematiche legate alla sfera psichica nella popolazione giovane in età scolare e anche negli studenti delle università, confermando quanto già ribadito nel corso dei mesi precedenti. In effetti, al contrario di molti, il CTS non si è mai detto realmente favorevole alla chiusura delle scuole, indicando la questione come prioritaria e non più procrastinabile. Un parere che, tuttavia, non gli era stato richiesto nella redazione dell’ultimo DPCM, ma soltanto domenica, all’alba di una settimana che si rivelerà decisiva per la tenuta del governo.
Anche l’Istituto Superiore della Sanità si era mosso, di recente, nella stessa direzione: dal suo ultimo report risulta, infatti, che dal 31 agosto sono stati rilevati, nella classi, circa 3mila focolai per un totale di appena il 2%. Dati a loro modo rassicuranti cui, ovviamente, il Ministro Azzolina si è rifatto in ogni sua battaglia a favore della riapertura delle scuole. Eppure, come già sottolineavamo la scorsa settimana, l’attendibilità di certi studi resta ancora poco chiara in un Paese che ha visto gli istituti aperti per un lasso di tempo decisamente troppo breve per poterne affermare con convinzione l’innocuità, sprovvisti come siamo persino di un sistema di tracciamento capace di carpire l’origine di quegli stessi focolai e di garantire la sicurezza dentro e fuori le aule scolastiche. In tal senso, verrebbe da concordare con Michele Emiliano, Presidente della Regione Puglia, che ha parlato della scuola come di un posto non sicuro, come non lo è qualsiasi luogo dove si sta seduti per ore nella stessa stanza. Non a caso, da Bari in giù, anche per le primarie è prevista la possibilità di didattica integrata digitale per le famiglie che lo richiedono. A livello nazionale, inoltre, resta poco chiaro il ruolo di tutto ciò che avviene prima e dopo le lezioni, come il ricorso ai mezzi pubblici. Forse, il vero vulnus dell’intera questione.
Dal Veneto, intanto, arriva anche un’altra notizia: sono circa 4mila gli alunni costretti a casa per un totale di 200 classi, tra elementari e medie, sottoposte a quarantena per la positività di uno o più studenti, con la provincia di Padova che segnala il numero maggiore di ragazzini in isolamento. Probabilmente, una conseguenza dell’ordinanza che ha cambiato la gestione dei casi positivi a scuola, obbligando all’isolamento le intere classi anche con un solo contagio. Se con la procedura precedente gli alunni che risultavano negativi potevano sin da subito riprendere le lezioni, ora gli studenti sono tenuti a osservare dieci giorni di quarantena e possono rientrare solo dopo essersi sottoposti a tampone.
Al di là delle scelte governative e regionali, comunque, questa probabile ripartenza sta vedendo una forte agitazione anche all’interno della stessa istituzione scolastica con docenti e studenti schierati su due fronti apparentemente opposti. Mentre i secondi stanno occupando alcuni istituti – come il Vittorio Veneto di Milano – in protesta contro la dad e prevedono rimostranze anche nei giorni a seguire con scioperi dalla presenza in sede e da ogni forma di attività didattica, i primi chiedono di essere inclusi sin da subito nelle categorie sottoposte a immunizzazione. A tal proposito, prima che Pfizer decidesse di consegnare il 29% di fiale di vaccino in meno rispetto a quanto stabilito, il commissario straordinario Arcuri aveva spiegato che, con l’arrivo dei farmaci Moderna e in attesa di Astrazeneca – che vedrà la sua approvazione alla fine del mese – sarebbe stato possibile anticipare le somministrazioni anche ad altre categorie, alludendo agli insegnanti – come su richiesta del Ministro Lucia Azzolina, agli operatori del trasporto, alle forze dell’ordine e ai detenuti. A fronte delle ultime novità, però, appare difficile credere che ciò avverrà in tempi strettissimi a danno, ovviamente, di quelli che ormai suonano come due diritti obsoleti, svenduti alla prima occasione e non soltanto in pandemia: il diritto allo studio e il diritto al lavoro.
Quali saranno i prossimi passi è un pronostico che non possiamo fare, al momento. Quello che possiamo fare, invece, è auspicare che l’intero comparto resti compatto, forse come mai prima, affinché quello che è uno scontro politico da una parte e un intento preciso dall’altro non mini alla credibilità di una battaglia giusta e alla sicurezza di chi quella battaglia la combatte e la subisce ogni giorno da sin troppo tempo.
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