La scuola riparte nel caos, ma i fannulloni sono gli insegnanti
La scuola riparte, anzi la scuola è già ripartita. Da Palazzo Chigi lo ribadiscono ogni giorno, quasi a convincere più se stessi che gli italiani che ascoltano i proclami che si susseguono di ora in ora. Sono in pochi, infatti, a credere che il rientro in aula sarà efficace e definitivo, la curva dei contagi di nuovo in salita non si prospetta rassicurante, ancora meno la fatiscenza degli istituti che personale e studenti affollano da settembre a giugno. Che si sarebbe arrivati a questo, però, era estremamente prevedibile. Ed era prevedibile che, su tutti, ne avrebbero portato il fardello gli insegnanti.
Già, quella categoria di lavoratori che sin troppo spesso viene definita privilegiata e, invece, è soltanto vittima di un’incuranza che si protrae da tanto e senza alcun interesse. Perché della scuola, in fondo, non importa a nessuno. Alla politica, soprattutto, la quale, al contrario, vedrebbe compromessa la sua stessa sopravvivenza. E che oggi i docenti abbiano paura, che temano il suono della campanella al pari degli studenti più meticolosi in occasione del compito in classe, che si sentano indifesi dinanzi a un pericolo che non possono controllare, è comprensibile e giusto, eppure per troppi suona come un’ammissione di colpevolezza, come la prova provata di quel marchio che con sufficienza si affibbia loro: fannulloni. Ma si può definire fannullone chi ci ha formato, forma i nostri figli, ha la responsabilità di una società migliore, puntualmente smentita dalla cruda realtà?
Per mesi, in questo lungo periodo di cancelli sbarrati, quelli che chiamiamo sfaticati hanno consentito alla scuola di non fallire. E lo hanno fatto mettendoci il proprio impegno, il proprio tempo, la propria passione anche e ben oltre il dovuto, spesso persino il consentito, pur di non lasciare nessuno dei loro alunni indietro. Pur di garantire quel sacrosanto diritto allo studio costituzionalmente riconosciuto ma ignorato così tante volte da non sembrarci più tale. Gli insegnanti hanno virtualmente affiancato le famiglie e, in più di un’occasione, addirittura sacrificato le proprie affinché l’intero sistema non crollasse, svelando una volta per tutte la sua instabilità congenita. E ora che tocca ammettere ritardi e inefficienze è su loro – e solo su di loro – che si punta l’obiettivo, perché un nemico si batte più facilmente del proprio riflesso.
Ecco che, allora, ad appena un giro di boa dal 14 settembre, giorno in cui gran parte degli istituti riprenderà regolarmente le attività, ci si affretta a spostare l’attenzione, a segnalare come cattivi e irresponsabili quei docenti che non si sottoporranno ai test che il Ministero ha previsto quale principale tutela del personale scolastico e degli studenti. Come se l’esame – su base volontaria – li rendesse immuni o non più contagiabili. Senza contare la non totale affidabilità dei sierologici e le tante false positività/negatività.
La pratica è stata avviata lo scorso 24 agosto su non poche proteste dei medici di base che, per la maggiore sprovvisti di kit idonei e di protezione per se stessi, si sono comprensibilmente rifiutati, scatenando lunghe attese alle ASL e disorganizzazione totale. E se, come dicevamo, sull’intero territorio nazionale il test è a discrezione del personale, il discorso è diverso in Campania, dove il Governatore Vincenzo De Luca ha stabilito una multa di 3mila euro ai danni di chi si rifiuta di sottoporvisi. Una mossa che a qualche settimana dalle elezioni suona troppo propagandistica e, come sempre, poco interessata alla reale tutela della scuola e di tutte le sue componenti. Ma, si sa, il tema è caldo e rischia di farsi ago della bilancia. Anche se, stando alle testimonianze di chi vorrebbe comunque adempiere al proprio dovere ma è impossibilitato, in una regione come quella campana, dove la sanità è allo sbando e la stessa amministrazione ha contribuito al suo svilimento, la vicenda andrebbe approfondita da più prospettive. E, invece, informazione e politica ben si guardano dal raccontare i disagi.
Basta soffermarsi sui servizi che telegiornali e programmi di approfondimento dedicano all’argomento, con immagini da istituti nuovi o recentemente rinnovati, con banchi puliti e cattedre linde, magari anche con laboratori funzionanti e sale per la mensa. Una narrazione decisamente distorta di quella che è la realtà scolastica che tutti conosciamo e che tutti continuiamo a ignorare, in Campania come in gran parte di Italia. E, così, si preferisce diffondere l’idea di docenti e personale ostili ai controlli, di approfittatori che sperano nella didattica a distanza per continuare a intascare i loro lauti (?) stipendi statali senza far nulla. Perché è questa la concezione comune: tre mesi di vacanza e appena poche ore di lavoro al giorno. Uno stereotipo che persino la politica, in questi mesi di discussione e disagio, ha avvallato per fare opposizione o, meglio, per non fare nulla.
I fatti, invece, raccontano di un’incapacità – o di un disinteresse – a mettere in moto la linfa vitale della società in piena sicurezza, di una classe dirigente che continua a ignorare la realtà che amministra, di un Ministro che ogni giorno dà il suo bollettino numerico e non risponde alle vere domande, di uno scaricabarile costante tra MIUR e CTS, tra mascherine obbligatorie e mascherine facoltative, tra banchi con le rotelle e ingressi scaglionati, tra temperatura da registrare a casa o in aula, tra pullmini pieni e finestrini aperti anche di inverno. Così, se gli alunni non si ammalano di COVID, magari prendono l’influenza. E di nuovo tutti in isolamento. Perché è questo, in fondo, il riassunto dei mesi che verranno, con il rischio che a ogni raffreddore, a ogni linea di febbre, a ogni sintomo sospetto, si debba restare da soli e aspettare.
La verità racconta di una categoria a rischio e di assunzioni che non bastano, di cattedre ancora scoperte, di concorsi rinviati, di se e ma che non possono reggere a lungo il nulla su cui si sta disperatamente tentando di costruire il nuovo anno scolastico, l’istruzione che deve essere, il diritto allo studio e al lavoro che non può più ledere il diritto alla propria integrità fisica e morale. Lì, dove ogni giorno si subisce la gogna e l’umiliazione di un Paese che se ne frega, che si bea della sua ignoranza, che nemmeno una pandemia ha reso migliore. Sicuri che i fannulloni siano gli insegnanti?
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