24 CFU: Bianchi preannuncia l’addio
I CFU, o Crediti Formativi Universitari, sono gli esami richiesti quali requisito di accesso per partecipare ai concorsi per le scuole medie e superiori. Nati come norma transitoria, introdotti con il d. lgs. 59/2017 attuativo della Buona Scuola di Matteo Renzi e, di fatto, diventati pratica consolidata, a breve potrebbero non essere più necessari.
Stando alle dichiarazioni rilasciate dal Ministro Patrizio Bianchi in occasione della conferenza stampa successiva alla cabina di regia sul PNRR, infatti, la misura sembrerebbe prossima al licenziamento: «Per quanto concerne la scuola primaria preciso che c’è già una laurea abilitante, ma in generale per il reclutamento stiamo lavorando puntando molto sulle competenze, che poi sono quelle pedagogiche della professione insegnante. Ciò significa selezione basata non solo su competenze strettamente disciplinari, ma anche su competenze provenienti dal tirocinio».
Bianchi, in effetti, si era già espresso sul tema, dichiarando che i CFU non rappresentano il modello più corretto per diventare insegnante: «Nel nostro ordinamento abbiamo due lauree abilitanti per l’infanzia e per la primaria, mentre chi fa una scelta disciplinare deve recuperare successivamente le competenze pedagogico-didattiche e, invece, dobbiamo creare dei percorsi che abbiano sin dall’inizio queste competenze per chi vuole fare l’insegnante».
I 24 CFU – questo il numero a oggi necessario – si apprestano, dunque, a diventare un ricordo con buona pace di quei tanti che hanno investito – e ancora investono – soldi e tempo per acquisire i requisiti necessari per raggiungere l’agognato insegnamento.
Come sappiamo, per diventare docenti, oltre a possedere il titolo di studio di accesso, occorre essere in possesso dei crediti sopracitati in discipline antropo-pisco-pedagogiche e in metodologie e tecnologie didattiche. Per la loro validità, è necessario che questi siano stati erogati da un’università, anche telematica, riconosciuta dal Ministero dell’Istruzione.
La convalida può avvenire in tre forme:
- la forma curricolare prevede il riconoscimento dei 24 CFUall’interno del piano studi del corso di laurea. È la segreteria a rilasciare la Certificazione di conformità degli obiettivi formativi e contenuti didattici;
- la forma aggiuntiva permette di acquisire nuovamente i 24 CFUintegrando al piano studi degli esami extra nei settori scientifici disciplinari richiesti dal MIUR;
- i percorsi formativi extra curricularisono organizzati dalle Università e da enti di formazione riconosciuti dal MIUR per il conseguimento dei 24 CFU obbligatori.
I crediti devono essere conseguiti nei seguenti SSD:
- M-PED/01Pedagogia generale e sociale – Ambito di pedagogia, pedagogia speciale e didattica dell’inclusione;
- M-PSI/04 Psicologia dell’educazione – Ambito delle conoscenze in ambito psicologico;
- M-DEA/01Antropologia culturale – Ambito delle conoscenze in ambito antropologico;
- M-PED/03Metodologie e tecnologie didattiche – Ambito riguardante le metodologie e tecnologie didattiche generali.
Il MIUR ritiene necessario ottenere 6 CFU per ogni ambito. Tuttavia, è possibile conseguire i 24 CFU obbligatori in soli tre settori, a patto che si maturino 12 crediti in un solo ambito e 6 per ognuno degli altri due.
Sono esonerati dal conseguire i CFU i diplomati ITP (fino al 2024/2025), coloro che già possiedono l’abilitazione all’insegnamento e coloro che hanno almeno trentasei mesi di servizio anche non continuativi (tre anni) a scuola.
Dopo la ridefinizione delle procedure concorsuali introdotta con il Decreto Sostegni Bis, quella del Ministro Bianchi, insomma, suona come una dichiarazione di intenti precisa che ben si sposa con le varie riforme cui il MIUR sta lavorando e che andranno a chiarire meglio quelli che sono gli intenti dell’attuale dirigenza di Viale Trastevere.
Come sappiamo, l’obiettivo principale è la pianificazione di un concorso annuale, solo sui posti liberi e disponibili, che possa svuotare le affollate sacche del precariato. A tal proposito, nel corso della stessa conferenza stampa, il Ministro ha ribadito i prossimi passi: «Le riforme sono molto importanti per noi. Crediamo, infatti, di dovere agire su tutta la filiera, con l’obiettivo di ridurre la dispersione scolastica e di dare al Paese quelle competenze che servono, all’interno degli stessi settori industriali, per dare un’accelerazione alla ripresa».
«In programma la riforma degli istituti tecnici e professionali, degli istituti superiori e l’orientamento che deve partire dalle scuole medie. E non dimentichiamo i docenti, bisogna ridare dignità al mestiere di insegnante, ecco perché le nuove norme sul reclutamento e sulla formazione. Poi, la riforma che le riunisce tutte: la riforma dell’organizzazione scolastica, che riguarda anche la numerosità delle classi. […] Sugli investimenti abbiamo le idee chiare: ambienti per una nuova didattica molto più laboratoriale e i contenuti della nuova didattica», ha aggiunto. «Entro novembre siamo pronti per fare bandi per 5 miliardi, per sostenere la ripartenza del Paese».
C’è da capire, tuttavia, come questa voglia di innovazione possa conciliarsi con l’impegno di bandire la procedura ordinaria – già rinviata a lungo – entro e non oltre il 2021, nonostante anche ottobre sia ormai inoltrato e le date non siano mai state annunciate.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.